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Le Acque e gli Anfibi
Se, grazie al clima mediterraneo, non c’erano dubbi sulla ricchezza di rettili sui monti del Lazio meridionale, poteva invece apparire improbabile la presenza di anfibi, specie la cui esistenza è legata indissolubilmente all’acqua. Questi territori infatti non sono attraversati da corsi d’acqua perenni e sono privi di superfici lacustri rilevanti. Ciò nonostante i Monti Lepini ospitano 12 delle 15 specie di anfibi conosciute per l’intero territorio laziale.
Gli anfibi, come ai rettili, sono visti da molte persone con diffidenza o ripugnanza e alcune li ritengono, malgrado siano del tutto inoffensivi, pericolosi o dannosi; tuttavia basta conoscerli un po’ meglio per vincere la repulsione e avvicinarli senza timore.
I Lepini in questo aiutano molto, vista l’insospettabile ricchezza di specie: negli itinerari turistici e naturalistici, oltre agli uccelli o alla flora spontanea si possono inserire anche questi interessanti animali, tutelati da un’apposita legge regionale. Sui Monti Lepini, questa specie sono state favorite indirettamente da pastori e contadini, che nei secoli hanno realizzato fontane-abbeveratoi e pozzi-cisterna per garantire risorse idriche al bestiame allevato. Alcuni di questi manufatti, risalenti al XVIII secolo, costituiscono straordinari esempi di un’architettura rurale ben lungi dall’essere superata.
Ci sono poi le sorgenti, spesso con portata limitata, a volte nascoste e lontane dai sentieri; in queste, con lievi interventi di contenimento, i pastori hanno ricavato piccole raccolte d’acqua per facilitare l’abbeveraggio del bestiame, creando allo stesso tempo siti ideali per la deposizione delle uova di alcuni anfibi come la Salamandrina dagli occhiali. Questo endemita dell’Italia appenninica (dalla Liguria alla Calabria) non è più l’unico rappresentante del genere Salamandrina poiché recenti studi hanno evidenziato due linee geneticamente distinte che supportano l’esistenza di una specie dell’Italia centro-settentrionale, Salamandrina perspicillata, e una dell’Italia meridionale, Salamandrina terdigitata.
Sui Monti Lepini, soprattutto all’inizio della primavera, con un po’ di attenzione è facile scorgere le femmine di Salamandrina perspicillata in acqua, intente a deporre le uova sul fondo roccioso di una piccola sorgente o su di un rametto caduto in una antica fontana-abbeveratoio. La specie è presente incredibilmente con un numero elevatissimo di siti riproduttivi e sono stati proprio gli studi svolti in questo comprensorio a rilevare interessanti aspetti della sua biologia. In alcune stazioni infatti le salamandrine si recano in acqua e depongono le uova anche in autunno, un periodo decisamente inusuale per gli anfibi, in altre anticipano le deposizioni ai mesi invernali oppure si rinvengono regolarmente in acqua nella stagione primaverile.
Gli appassionati dunque, sui Monti Lepini hanno l’opportunità di osservare molto più facilmente adulti di salamandrina, oppure uova o larve, in tutti i mesi dell’anno! La primavera resta comunque la stagione migliore per osservare gli anfibi: essi raggiungono l’ambiente acquatico per gli accoppiamenti e la deposizione delle uova.
Gli adulti di alcune specie abbandonano subito dopo l’acqua, come Rana dalmatina, specie rara e localizzata nel comprensorio Lepino; altre invece, escludendo i mesi più freddi, restano sempre in prossimità dell’acqua.
Una di queste la rana appenninica (Rana italica), endemita italiano che vive in acque correnti e fresche, sovente assieme alla salamandrina. Anche le comuni rane verdi (Rana bergeri e Rana kl. Hispanica), localmente chiamate “ranunchi” o “pesci cantanti”, rimangono vicino l’acqua per buona parte dell’anno; in collina e in montagna sono localizzate nei pochi stagni presenti, mentre sono molto più comuni e diffuse nei fiumi e canali della pianura, dove vengono catturate per le loro carni, apprezzate dai buongustai.
Sui Monti Lepini è comune il rospo (Bufo bufo), mentre é più raro il rospo smeraldino (Bufo viridis). Queste specie si identificano anche grazie ai loro canti nuziali, emessi soprattutto di notte. Il loro suono è udibile a chilometri di distanza, caratteristico è il trillo intermittente, forte e acuto, del rospo smeraldino, che ricorda quello di alcuni grilli.
Il singolare ululone appenninico (Bombina pachypus) emette invece una sequenza di “hu-hu” ripetuti ad intervalli regolari, a cui deve il suo nome onomatopeico. Il “rospìtto”, come è chiamato in alcune delle località dei Lepini, si riproduce nella tarda primavera e inizio estate in fontanili e piccole pozze con fondo roccioso. La sorpresa nell’osservare questo piccolo rospo grigio-bruno, di appena pochi cm di lunghezza, sta nello scoprire il contrasto fra le brillanti colorazioni delle parti inferiori, macchiate di giallo su fondo blu-grigiastro o nerastro, con quelle mimetiche superiori. Caratteristica di questo anfibio è infatti la reazione detta “riflesso ululone”: la specie inarca il tronco e solleva le zampette dal suolo, mostrando le vivaci colorazioni in un peculiare atteggiamento intimidatorio che disorienta gli eventuali predatori e “ricorda” la loro tossicità. L’ululone infatti, similmente ai rospi , può secernere dalle numerose ghiandole cutanee una sostanza biancastra volatile, fortemente irritante le mucose della maggior parte dei predatori e anche dell’uomo.
Gli adulti possono essere predati dalla natrice dal collare (Natrix natrix); le grandi femmine di questo serpente s’incontrano anche lontano dall’acqua dove danno la caccia al rospo comune. Queste sue abitudini predatorie sono confermate anche dal nome locale della specie, “serpe uottàra”; “uòtta” è infatti il nome locale del rospo. Le uova e le larve degli anfibi hanno numerosi nemici, soprattutto adulti e larve di insetti acquatici, ma anche pesci e giovani biscie.
Dove coabitano, persino i tritoni possono cibarsi di larve e di altri anfibi. Il più grande delle tre specie presenti sui Lepini, il tritone crestato italiano (Triturus carnifex), lungo fino a 18 cm, può predare anche congeneri adulti più piccoli, come il tritone italiano. Quest’ultimo è proprio il più piccolo dei tritoni europei, misurando 8-9 cm, coda inclusa.
La specie era sfuggita alla ricerca dei naturalisti ed erpetologi fino al 2003, quando è stato “pescato” in alcuni pozzi dell’area meridionale e poi in altre località nord-orientali dei Lepini. Dopo più di 20 anni dalla scoperta della specie nel Lazio, avvenuta sui Monti Aurunci, anche il “piccoletto” dei tritoni si è così aggiunto alla fauna dei Lepini. E’ presente in un numero cospicuo di siti riproduttivi: soprattutto pozzi in pietra ma anche una grande pozza naturale. Oltre agli anfibi e alla natrice dal collare, l’ambiente acquatico delle zone collinari e montuose ospita molte altre specie animali.
In acque fresche e limpide di piccoli ruscelli e fossi, ma anche di sorgenti, il granchio d’acqua dolce (Potamon fluviatile) vive cacciando larve di anfibi. Molto sensibile all’inquinamento, come gli anfibi è “a rischio”, localizzato in poche stazioni a quote non elevate.
La natura carsica dei Monti Lepini fa si che tali ambienti acquatici siano molto isolati gli uni dagli altri, per i numerosi organismi che ci vivono costituiscono quindi delle “isole” che possono essere colonizzate solo a partire da altri ambienti simili. Per tali motivi, le specie più sensibili, come il granchio, una volta scomparse da un sito, spesso non riescono a ricolonizzarlo; si comprende quindi l’importanza di questi habitat per la tutala della biodiversità.
Gli ambienti acquatici dei Monti Lepini ospitano poi numerose specie di invertebrati, soprattutto insetti che durante gli stadi larvali vivono nell’acqua: efemerotteri, i cui “effimeri” adulti, volatori, privi di apparato boccale, vivono solo poche ore per riprodursi. Le voraci larve di libellule predano in acqua altri invertebrati ma anche girini e piccoli pesci, che catturano con un organo di presa estroflettibile, “la maschera”, derivato da una modificazione dell’apparato boccale; quelle del genere Anax sono tra le più grandi, raggiungendo tra i 5-6 cm di lunghezza quando sono prossime alla metamorfosi.
Facilmente riconoscibili sono alcune “cimici” acquatiche: i veliidi, che in sciami “pattinano” sulla superficie dell’acqua alla ricerca di piccoli insetti di cui si nutrono; lo scorpione d’acqua (Nepa cinerea) che deve il suo nome comune alle particolari zampe anteriori raptatorie, con le quali cattura gli invertebrati; le notonette (Notonecta spp.), facilmente riconoscibili per le zampe posteriori a forma di remi e per l’abitudine di nuotare sul dorso, sono ottimi volatori e predano invertebrati, ma anche larve di anfibi.
Tanti altri insetti (plecotteri, ditteri, coleotteri, tricotteri, ecc.), ognuno con una peculiare storia da raccontare, vivono nei piccoli ambienti acquatici dei Lepini, un vitale microcosmo di facile osservazione anche per l’escursionista più distratto.
Non passano certo inosservate alcune specie di uccelli acquatici come la gallinella d’acqua (Gallinula chloropus) che, sia pure in modo irregolare, nidifica nel comprensorio; in prossimità di ruscelli, sorgenti o fontanili la ballerina gialla (Motacilla cinerea), come la ballerina bianca, alleva i suoi piccoli.
Ma è durante le lunghe trasvolate migratorie che diverse specie legate alle zone umide, transitano sui Monti Lepini, dall’alto sono attratte dai piccoli bacini luccicanti ai raggi del sole; così anche lo stagno dell’Antignana, il “Pantano” di Bassiano o quelli ai Campi di Montelanico e Segni, circondati da ampi spazi aperti e verdi prati-pascolo, rappresentano luoghi ideali per una sosta.
Sulle rive o sui prati umidi un improvviso frullo d’ali e richiami acuti e forti possono sorprendere l’escursionista: al termine di un ampio giro e a debita distanza, una pettegola (Tringa Totanus), un piro piro culbianco (Tringa ochropus) o una pantana (Tringa nebularia), si posano nuovamente e camminando nell’acqua bassa o nel fango alla ricerca di cibo, consentono agli appassionati birdwatchers di identificarli.
Più di rado si osservano germani reali (Anas platyrhynchos) e altri anatidi mentre è più frequente il “gigante” degli aironi, il cenerino (Ardea cinerea), inconfondibile per le colorazioni bianche, grigie e nere, e le zampe e collo lunghi. Con il becco giallo, lungo e affilato, cattura soprattutto rane verdi e tritoni. Le poche raccolte d’acqua presenti durante la stagione estiva rappresentano comunque un luogo ideale per il naturalista: sono infatti visitate da un gran numero di animali che si recano a bere e altri che ne approfittano per un buon bagno ristoratore.
Testi tratti da:
“Lepini, Anima selvaggia del Lazio”
Edizioni Belvedere. ISBN: 88-89504-03-X