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La Fauna sui Monti Lepini

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Le foreste ombrose

Le foreste ombrose, grazie alla loro maggiore umidità, alle escursioni termiche giornaliere più contenute e alla buona qualità del terreno, ospitano una vastissima serie di animali. I boschi misti, i querceti, gli ostrieti e i castagneti dei Monti Lepini sono inoltre generalmente più luminosi rispetto alle formazioni chiuse come le leccete o le faggete. Le chiome degli alberi lasciano infatti maggiori spazi dove la luce può filtrare, permettendo così la crescita di piante arbustive ed erbacee, e l’instaurarsi di una fauna più ricca.

Migliaia di specie di invertebrati popolano la voluminosa lettiera, le erbe, gli arbusti e le chiome degli alberi più alti. Particolarmente interessante è la vita che si svolge tra le foglie morte, un vero e proprio microcosmo: i vari strati formati dalle foglie cadute a terra, e perfino gli interstizi più bui e minuscoli, sono popolati da una fauna numerosa ed eterogenea.

Una folla di animaletti quasi invisibili, da pochi decimi a qualche centimetro di lunghezza, dimora nei passaggi tra le foglie addensate una all’altra e nel suolo: è il misconosciuto e stupefacente esercito dei degradatori della lettiera, il cui ruolo ecologico, viceversa, è ben noto e di assoluto rilievo.

Per rendere l’idea di quale incredibile mondo animale si celi nel suolo, basta pensare che in un bosco dei Lepini, soltanto il terreno sottostante il carrarmato degli scarponi può ospitare migliaia e migliaia di piccoli invertebrati, quali acari, collemboli e nematodi, oltre a un grosso lombrico e qualche decina, tra insetti, ragni e millepiedi.

Tra gli insetti, numerose sono le specie di coleotteri predatori e tra questi, oltre a carabidi e stafilinidi, troviamo le larve delle popolari lucciole (Luciola sp.) che si nutrono di chiocciole; anch’esse come gli adulti sono dotate di un organo luminoso. Limenitis reducta è invece un’elegante farfalla dalla livrea bruna vellutata, ravvivata da candide macchie bianche, che spesso termina la sua lenta planata ad ali tese sui fiori bianco-rosati del caprifoglio; i bruchi si sviluppano proprio su queste piante, tra le boscaglie miste di latifoglie decidue.

1Biospeleologia
2entrandoinunagrotta
3nellambienteendogeo
4sulleparetidiroccia
5insettisulleparetirocciose
6nellamacchiadeimontilepini
7nelleprateriedaltitudine
8leacqueeglianfibi
9lefitteleccete
10nellaboscaglia
11leforesteomroseaperto
12Lafaggeta
13terrazzamentieparchiurbani
Luciola sp (Lucciola).
Luciola sp (Lucciola).
Limenitis reducta (Farfalla).
Limenitis reducta (Farfalla).
Nymphalis antiopa (Vanessa antiopa).
Nymphalis antiopa (Vanessa antiopa).
Bruco.
Bruco.
Calosoma sycophanta (Calosoma).
Calosoma sycophanta (Calosoma).

Molto meno frequente, ma altrettanto elegante, è la più grande (70 mm di apertura alare) vanessa antiopa (Nymphalis antiopa) mentre già il nome scientifico Quercusia quercus indica chiaramente di quali piante alimentari si nutrono i bruchi di questo piccolo licenide prima di compiere la metamorfosi che li trasformerà in adulti alati. Sui rami o sui tronchi degli alberi, a caccia dei bruchi di processionarie e limantrie, si può osservare la vorace calosoma (Calosoma sycophanta), un coleottero carabide (lungo sino a 35 mm) dall’elegante livrea verde metallica, iridescente; sulle querce vive anche un altro coleottero, il cervo volante minore (Lucanus tetraodon), lungo fino a 5 cm. Risulta difficile scorgerlo fra i rami ed è più probabile incontrarlo su quegli alberi che hanno ferite nella corteccia da dove trasuda la linfa di cui si nutre, oppure nel tardo pomeriggio quando vola “rumorosamente” fra le chiome. Il nome italiano di questo coleottero si riferisce alle vistose mandibole dei maschi (normali nelle femmine) che, soprattutto negli esemplari più grandi, ricordano le corna dei cervi. Malgrado l’aspetto minaccioso si tratta di un insetto innocuo per l’uomo.

Altra specie facilmente riconoscibile è lo scarabeo rinoceronte (Oryctes nasicornis laevigatus), il cui maschio ha sul capo un lungo corno incurvato all’indietro mentre la femmina ne è sprovvista.

Le larve di questa specie, come quelle degli altri insetti che si nutrono di legno (larve xilofaghe), costituiscono una delle fonti alimentari dei picchi, rappresentati nei boschi dei Lepini da tre specie: picchio rosso maggiore (Picoides major), picchio rosso minore (Picoides minor) e picchio verde (Picus viridis). Non di rado, capita di vedere aperture scavate sui vecchi tronchi degli alberi e mucchietti di schegge di legno sul terreno sottostante: percuotendo il tronco con il becco, i picchi sono in grado di percepire l’eco prodotto, stabilendo se nel legno sia nascosta una larva xilofaga.

In breve tempo scavano un foro con il becco, usato come uno scalpello, raggiungendo l’ambita preda con precisione millimetrica. Caratteristico è il “tambureggiamento” dei picchi rossi, emesso per segnalare il possesso del territorio: quello del picchio rosso maggiore è particolarmente sonoro, simile a una sorda e improvvisa vibrazione, ed è udibile anche a una certa distanza. Quello del picchio rosso minore invece, anche per la taglia ridottissima della specie (pari a quella di un passero), è meno forte, più uniforme e rapido, della durata di qualche secondo; nel comprensorio Lepino si ascolta però soltanto in pochissime località poiché la specie è rara.

La meticolosa esplorazione delle chiome o dei tronchi degli alberi a caccia di piccoli invertebrati, occupa gran parte della giornata di diverse specie di uccelli, tra i quali il fiorrancino, il rampichino (Certhia brachydactyla) e il picchio muratore (Sitta europaea).

A partire dall’angolo in alto a sinistra e in senso orario: Picoides major (Picchio rosso maggiore), Picoides minor (Picchio rosso minore), Picus viridis (Picchio verde), Certhia brachydactyla (Rampichino), Sitta europaea  (Picchio muratore), Fiorraccino.
A partire dall’angolo in alto a sinistra e in senso orario: Picoides major (Picchio rosso maggiore), Picoides minor (Picchio rosso minore), Picus viridis (Picchio verde), Certhia brachydactyla (Rampichino), Sitta europaea (Picchio muratore), Fiorraccino.
Dall'alto verso il basso: Calosoma sycophanta (Calosoma), Lucanus tetraodon (Cervo volante minore), Oryctes nasicornis laevigatus (Scarabeo rinoceronte).
Dall'alto verso il basso: Calosoma sycophanta (Calosoma), Lucanus tetraodon (Cervo volante minore), Oryctes nasicornis laevigatus (Scarabeo rinoceronte).

Per individuare il piccolo fiorrancino è indispensabile riconoscerne il canto, costituito da note acute ripetute in sequenza via via più accelerate; predilige infatti il fogliame delle chiome e il suo avvistamento è di solito alquanto fortunoso. Anche il rampichino passa facilmente inosservato poiché è quasi sempre abbarbicato alle cortecce degli alberi ed è dotato di un manto bruno screziato di nero, assai mimetico; si arrampica a piccoli saltelli, come fosse un picchio, risalendo il fusto obliquamente, a spirale.

Il picchio muratore (Sitta europaea), malgrado il nome è un passeriforme, ma per nidificare spesso utilizza i buchi scavati da veri picchi. Si lascia facilmente osservare mentre esplora attivamente le scabrosità del legno, muovendosi sui tronchi e sulle ramificazioni laterali non troppo sottili, in tutte le direzioni, anche verso il basso e testa in giù con estrema naturalezza, spesso emettendo richiami di forte sonorità. Alla fine dell’inverno, nell’apparente staticità del bosco, gli animali si preparano alla primavera.

Il bosco offrirà loro cibo, rifugi e luoghi più sicuri dove partorire o nidificare: ai suoi margini come nelle aree più interne, dalla lettiera alle più alte chiome. Tra i rami ancora spogli ecco il codibugnolo, dalla lunga coda, il luì piccolo (Phylloscopus collybita) e soprattutto le confidenti cince, i veri folletti del bosco, spettacolari nella loro continua e acrobatica ricerca del cibo. Non manca il comune fringuello (Fringilla coelebs) che in inverno forma a volte gruppi numerosi, cui si uniscono altri fringillidi più rari quali peppole (Fringilla montifringilla) e lucherini (Carduelis spinus).

Il timido e discreto frosone (Coccothraustes coccothraustes) è dotato di un potente e grosso becco conico che lo rende inconfondibile, con cui può rompere il nocciolo di ciliegie, olive, bagolaro e corniolo. A differenza del fringuello, comune e nidificante in tutti i boschi dei Lepini, il frosone è presente con un numero ridottissimo di coppie. Forti, aspre e improvvise le grida della ghiandaia interrompono il silenzio del bosco, mentre il tubare insistente dei maschi del colombaccio (Columba palumbus) annuncia la primavera e la stagione riproduttiva. Nel sottobosco si muove con circospezione la solitaria beccaccia (Scolopax rusticola), tra gli ospiti invernali dei Monti Lepini. Ormai prossima alla partenza per i territori di nidificazione, cerca il cibo nel terreno molle sotto la lettiera e grazie al suo lungo becco riesce a scovare i lombrichi. Nel sottobosco vive anche il piccolissimo scricciolo, riconoscibile per la codina spesso tenuta all’insù e, soprattutto, per il trillo del maschio, prolungato e straordinariamente forte.

Dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Phylloscopus collybita (Luí piccolo), Fringilla coelebs (Fringuello), Fringilla montifringilla (Peppola), Carduelis spinus (Lucherino), Coccothraustes coccothraustes (Frosone), Scolopax rusticola (Beccaccia).
Dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Phylloscopus collybita (Luí piccolo), Fringilla coelebs (Fringuello), Fringilla montifringilla (Peppola), Carduelis spinus (Lucherino), Coccothraustes coccothraustes (Frosone), Scolopax rusticola (Beccaccia).
Da sinistra verso destra: Columba palumbus (Colombaccio), Scricciolo, Pettirosso.
Da sinistra verso destra: Columba palumbus (Colombaccio), Scricciolo, Pettirosso.

Anche il pettirosso, dal canto melodioso, tornato nei boschi montani dopo aver svernato a quote più basse, ispeziona le fossette del terreno più adatte ad accogliere il nido, fra le radici di annosi alberi. Soltanto a poche decine di centimetri di profondità, in una confortevole camera, la femmina del tasso allatta i piccoli ancora ciechi e inetti, ricoperti da un fine pelo biancastro. Occorreranno altri 7-9 mesi di amorevoli cure per fa si che raggiungano la completa autonomia e abbandonino il nucleo familiare.

Altri mammiferi hanno le loro tane nel bosco di caducifoglie: fainedonnolegatti selvaticivolpi e lupi. Anche il cinghiale, che vi trova soprattutto cibo in abbondanza: ghiande, funghi, radici, bulbi e tuberi. Per disseppellire questi ultimi, la specie utilizza muso e denti come un aratro e il suo passaggio si riconosce facilmente dal terreno smosso. Due mustelidi, donnola e faina, hanno invece nei piccoli roditori la loro principale fonte alimentare: il topo selvatico dal collo giallo (Apodemus flavicollis) è senza dubbio tra le specie più frequenti nei boschi misti dei Monti Lepini mentre l’arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus) è meglio rappresentata nelle faggete. I due carnivori catturano invece raramente il ghiro, il moscardino (Muscardinus avellanarius) e il quercino (Eliomys quercinus) a causa dei loro costumi arboricoli.

Da sinistra verso destra: Faina, Donnola.
Da sinistra verso destra: Faina, Donnola.
Gatto selvatico.
Gatto selvatico.
Volpe.
Volpe.
Lupo.
Lupo.
Cinghiale.
Cinghiale.

Questi ultimi rientrano invece nella dieta di alcuni predatori alati: per esempio in quella dell’allocco, rapace notturno dal richiamo profondo e selvaggio, che molti giudicano inquietante, quasi sinistro. Il suo prolungato “ululato”, udibile anche a notevoli distanze, al crepuscolo sembra quasi annunciarne l’inizio dell’attività notturna, un vero segnale di coprifuoco per tutti i micromammiferi dell’area. Sul limitare del bosco, ai confini con prati-pascolo e campagne alberate, i vecchi nidi di cornacchia grigia (Corvus corone) sono utilizzati per nidificare anche dal gufo comune (Asio otus). Nel mese di maggio si possono vedere in pieno giorno i giovani dell’anno fuori dal nido, sonnecchianti su un ramo, accarezzati dalle foglie degli alberi.

Dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Apodemus flavicollis (Topo selvatico), Clethrionomys glareolus (Arvicola rossastra), Ghiro,  Muscardinus avellanarius (Moscardino), Allocco, Corvus corone (Cornacchia grigia), Asio otus (Gufo comune).
Dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Apodemus flavicollis (Topo selvatico), Clethrionomys glareolus (Arvicola rossastra), Ghiro, Muscardinus avellanarius (Moscardino), Allocco, Corvus corone (Cornacchia grigia), Asio otus (Gufo comune).

I rapaci diurni presenti tutto l’anno nei boschi misti, castagneti e querceti decidui dei Lepini, sono le sparviere (Accipiter nisus) e la poiana. Questa, quando con le ali spiegate sfrutta magistralmente le correnti ascensionali, lanciando nell’aria l’acuto e prolungato “piuuuu”, evoca l’espressione della natura liberare selvaggia. Sa regalare al paziente bird watcher le sue mirabili acrobazie aeree: un “volo a festoni” che consiste in una serie di picchiate mozzafiato ad ali chiuse e risalite in successione, disegnando nel cielo una sinusoide. Contenute, viceversa, sono le manifestazioni aeree dello sparviere, molto più piccolo rispetto alla poiana, impegnato nel fitto dei boschi o ai suoi margini, a cogliere di sorpresa piccoli uccelli. Diverse coppie nidificano sia in boschi di caducifoglie che sempreverdi, dalle zone collinari a quelle montane. Il lodolaio, che ricorda in miniatura il più potente pellegrino, è invece specie estiva e nidificante. Le sue lunghe ali falcate e la coda richiusa a forma di fuso, gli consentono un volo veloce e saettante; capace di repentine virate, è in grado di catturare in volo perfino i veloci aerodinamici rondoni (Apus apus).

Dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Accipiter nisus (Sparviere), Poiana, Lodolaio, Apus apus (Rondone), Falco pecchiaiolo, Biancone.
Dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Accipiter nisus (Sparviere), Poiana, Lodolaio, Apus apus (Rondone), Falco pecchiaiolo, Biancone.

Altri due rapaci diurni dalle peculiari abitudini alimentari nidificano nelle aree forestali dei Lepini, pur se con un esiguo numero di coppie: il falco pecchiaiolo e il biancone. Il primo, simile alla poiana, fa razzie di larve e adulti di vespe, calabroni e più raramente di api, come indica anche il nome scientifico della specie Pernis apivorus. Superfici boscose compatte ed estese, spesso in zone acclivi, costituiscono l’habitat di nidificazione ideale per il biancone, la cui apertura alare è di poco inferiore a quella di un’aquila reale. Sotto i suoi nidi si accumulano le borre contenenti i resti non digeriti dei serpenti, generalmente delle specie più diffuse del comprensorio, che rappresentano oltre l’80% della sua dieta: è la nostra “ aquila dei serpenti”. Utilizza il bosco solo per nidificare, cacciando nelle radure, negli incolti, nei pascoli, nelle macchie aperte, nelle garighe e perfino nei coltivi.

Insieme al più piccolo gheppio è tra i rapaci più noti che praticano lo “spirito santo”: come sospeso in cielo, scruta ogni porzione del territorio sottostante alla ricerca di prede. In picchiata piomba sul rettile, lo blocca, e con un deciso colpo di becco gli stacca la testa; lo inghiotte quasi tutto, lasciando la coda penzolante dal becco. Al nido, tra il fogliame di una quercia, anche un leccio svettante da un roccione immerso nel bosco, l’attende la femmina accovacciata sull’unico grande uovo appena deposto; afferra subito la coda del lungo rettile penzolante dalla bocca del maschio che mangerà per colazione. Inizia così la giornata al nido del biancone e per altri 120 giorni circa, fino a quando in luglio inoltrato il giovane nato finalmente s’invola; l’ombra della fiera aquila sfilerà puntuale e silenziosa, ogni giorno, sulle stesse chiome.

Ai margini del bosco, nelle piccole radure, o dove gli alberi sono più radi, s’incontrano l’ubiquitario biacco, i saettoni, il cervone, la natrice dal collare e la vipera comune. Sono presenti pure la lucertola muraiola, il ramarro, e anche il timido e innocuo orbettino, sauro privo di zampe somigliante a un serpentello e per questo spesso barbaramente ucciso dall’uomo.

A partire dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Gheppio, Ubiquitario Biacco, Saettone, Cervone, Vipera comune, Lucertola muraiola, Ramarro, Orbettino.
A partire dall'angolo in alto a sinistra e in senso orario: Gheppio, Ubiquitario Biacco, Saettone, Cervone, Vipera comune, Lucertola muraiola, Ramarro, Orbettino.

Altra sorte è invece riservata alla testuggine di Hermann o tartaruga terrestre, che è sempre stata raccolta anche per scopi culinari: in territorio di Montelanico, negli anni Cinquanta del Novecento, qualcuno ricorda ancora il “brodo di tartaruga”. Comune in passato è oggi rara e inoltre i pochi esemplari che si rinvengono non sempre come autoctoni: individui provenienti da altri paesi mediterranei, acquistati nei negozi di animali e poi liberati in natura, oltre a portare malattie virali, con ogni probabilità, ibridandosi, hanno inquinato geneticamente la popolazione locale.

Testuggine di Hermann (Tartaruga).
Testuggine di Hermann (Tartaruga).

La Fauna sui Monti Lepini

Testi tratti da:
“Lepini, Anima selvaggia del Lazio”
Edizioni Belvedere. ISBN: 88-89504-03-X

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