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La faggeta
Innegabile è la poesia che suscita l’immagine autunnale della faggeta avvolta in tenui nebbie, o quella invernale spoglia e imbiancata di neve; non meno suggestivo poi è il ritratto delle tenere foglie appena dispiegate al dolce tepore della primavera, o della fresca luminosità delle chiome in estate. La faggeta fitta ed estesa, a quote elevate, dominanti valloni acclivi e accidentati, costituisce il vero serbatoio di wilderness dei Monti Lepini.
Queste aree selvagge, a soli pochi chilometri dal vivere frenetico tra cemento e asfalto, bastano a riempire l’ancestrale bisogno di natura di cui l’uomo, anche se inconsciamente, sente il richiamo. La faggeta, nella sua apparente monotonia, con il suo “re”, il faggio, quasi sempre dominante, “egoista e asociale”, tanto che pochi altri alberi entrano nella sua corte, ospita alcuni animali del tutto peculiari.
Nel silenzio e nella staticità del suo caratteristico paesaggio colonnare è facile percepire piccoli movimenti, un flebile suono, il leggero fremito delle foglie o un crepitio nella lettiera. Un paio di lunghe antenne sulla corteccia grigiastra annuncia il lento incedere di un vistoso coleottero con corpo allungato (fino a 38mm) azzurrognolo, con macchie vellutate nere: è la rosalia alpina (Rosalia alpina), inconfondibile ma raro cerambicide considerato a priorità di conservazione e incluso nelle liste rosse di convenzioni internazionali.
Solo nei mesi estivi si ha l’opportunità di osservare la “regina della faggeta”: gli adulti vivono infatti una breve ma intensa esistenza, giusto il tempo per riprodursi e subito dopo, nel mese di agosto, muoiono di “vecchiaia”. Viceversa, le bianche larve che fuoriescono dalle uova deposte nelle incisioni della corteccia dei faggi morti, trascorreranno tre lunghi anni nel legno.
Sui Monti Lepini la presenza di faggi secolari che, soprattutto per la non facile accessibilità dei luoghi, non sono rimossi quando si schiantano per cause naturali, ha garantito, oltre alla sopravvivenza della rosalia alpina, quella di un altro vistoso cerambicide: Acanthocinus xanthoneurus. Si tratta di specie endemica appenninica ovunque rara e in regressione a causa della progressiva scomparsa dei faggi secolari. Si può osservare durante un breve periodo estivo, soprattutto nelle ore crepuscolari e notturne, mentre percorre il tronco di vecchi e colossali faggi sui quali si mimetizza grazie alla colorazione criptica.
Scendendo con lo sguardo alla base del tronco, un leggero crepitio di foglie smosse nella lettiera può rivelare inaspettate presenze: l’arvicola rossastra, per esempio, roditore di abitudini notturne che però, non di rado, è attivo anche in pieno giorno. Questa specie si lascia avvicinare facilmente, mostrando una insospettabile confidenza nei confronti dell’uomo. Mantenendosi a una certa distanza ed evitando movimenti improvvisi, si può osservarla mentre rosicchia un seme di faggio o all’ingresso della sua tana, formata da un complesso sistema di gallerie.
Nelle notti estive si ascoltano i suoni emessi da un altro roditore, tra i rami e le fronde degli alberi: si tratta del ghiro, conosciuto nel comprensorio Lepino con i nomi “rìla” o “arìle”. Vive in diversi ambienti, perfino in giardini e frutteti, ma predilige i boschi maturi di latifoglie decidue. Nel comprensorio Lepino diffuso ma localizzato, fino agli anni Cinquanta del Novecento era cacciato per scopi alimentari e catturato con apposite trappole (arilàre). D’altronde, uno dei nomi inglesi della specie “edible dormous”, letteralmente “dormiglione commestibile”, non lascia dubbi sulla bontà delle sue carni!
Raro sui Monti Lepini, e noto di poche località, è invece il quercino; come il ghiro predilige gli ambienti forestali ma tra i gliridi è il meno arboricolo e si osserva spesso anche a terra. La presenza attuale dello scoiattolo non è stata confermata; per i Lepini si hanno testimonianze attendibili fino all’immediato dopoguerra, quando veniva ancora catturato, anch’esso per scopi alimentari, nei boschi maturi tra i Campi di Segni e di Montelanico. In quest’ultima località è ricordato con il nome “iattariòne” (con muso da gatto, da “iatta”) e similmente, la specie, in altre località del Lazio dove è presente, viene chiamata anche “gattarione”.
Il silenzio dei mesi invernali è interrotto a primavera dai canti e richiami dei piccoli uccelli. Quando il piumaggio e la taglia sono simili e la colorazione è mascherata dai giochi di luce tra le foglie, solo i canti e i richiami permettono il riconoscimento della specie. I mimetici “luì”, per esempio, sono tutti molto simili e soprattutto nei periodi dei passi migratori, senza l’ascolto dei canti, è complicato distinguere con certezza un luì grosso (Phylloscopus trochilus) dal luì piccolo, un luì bianco (Phylloscopus bonelli) dal luì verde (Phylloscopus sibilatrix).
Il luì grosso sui Lepini si rinviene esclusivamente durante i passi migratori mentre il luì piccolo, il luì verde e probabilmente anche il luì bianco, nidificano nelle faggete: in primavera-estate è possibile ascoltare il caratteristico canto del luì piccolo, che consiste in due soli suoni antitetici ripetuti con insistenza. Il nome inglese “chiff-chaff” e quello tedesco “zilpzalp” della specie sono chiaramente onomatopeici, riproducendo il medesimo suono.
Il canto del luì verde si riconosce invece per un sibilo languido e di intensità decrescente; facile da individuare è anche il suo nido, posto a terra, grazie al via vai degli adulti.
Ben diversa è la collocazione del nido della balia dal collare (Ficedula albicollis), visitatore estivo e nidificante con un numero limitato di coppie. Utilizza le cavità di alberi vetusti poste a un’altezza non inferiore ai 5 metri, più spesso oltre i 10. Passeriforme particolarmente schivo, raramente esce allo scoperto, cacciando quasi sempre tra le chiome degli alberi; spesso l’unico indizio della sua presenza è il canto, che ricorda vagamente il fraseggio di un tordo.
Un altro passeriforme, anch’esso nidificante nella faggeta, è l’inconfondibile e bel ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula): il maschio ha le sue parti superiori grigie, nere e bianche, mentre le inferiori sono di un bel rosso vivo. Purtroppo è specie, oltre che rara, particolarmente elusiva proprio durante la stagione riproduttiva e spesso gli unici contatti si risolvono nell’ascolto del suo tipico fischio lamentoso che, se non altro, consente di accertarne la presenza.
Meglio rappresentata nelle faggete dei Lepini, ma sfuggente all’osservazione, è la tordela (Turdus viscivorus), dal canto flautato simile a quello del merlo ma meno vario e con strofe più corte. Più appariscenti e chiassose sono invece la cinciarella (Parus caeruleus) e la cincia bigia (Parus palustris), lo scricciolo, il picchio muratore e il fringuello. La presenza del picchio verde e quella del picchio rosso maggiore si annuncia con lo squillante richiamo del primo, udibile da lontano e simile ad una improvvisa e forte risata, e con i caratteristici tambureggiamenti del secondo.
Alcuni uccelli rapaci che vivono in altre formazioni boschive dei Monti Lepini s’incontrano anche in faggeta. L’allocco e quello notturno più comune mentre rara e occasionale è la civetta (Athene noctua). Tra i rapaci diurni, solo lo sparviere e la poiana costruiscono i nidi sui faggi. Lontane dagli abitati o dalle aree urbanizzate, le vaste faggete offrono tranquillità e rifugi sicuri al lupo, l’unico grande carnivoro dei Lepini che necessità di aree naturali estese.
Malgrado sia molto improbabile incontralo in natura, è ugualmente eccitante per l’escursionista e il naturalista, percorrere gli stessi tratturi e osservarne eventualmente i segni della sua presenza, come per esempio le tracce su terreno innevato; ciò vale, altresì, per il fantomatico “gatto dei boschi”, parente selvatico del domestico. Le tracce del gatto selvatico (orme su neve fresca, giacigli, escrementi e altro) sono ancora più difficili da rilevare e non sempre costituiscono prove certe della sua presenza.
Per altre specie di mammiferi carnivori, come volpi, tassi o donnole, è invece del tutto plausibile un pur fugace incontro ai margini o nelle radure della faggeta ma, soprattutto a quote elevate e in inverno, le possibilità si riducono sensibilmente: l’ambiente montano dei Monti Lepini, se innevato è certamente ostile per molti animali, ma sempre affascinante e carico di suggestioni per l’escursionista.
Testi tratti da:
“Lepini, Anima selvaggia del Lazio”
Edizioni Belvedere. ISBN: 88-89504-03-X