Sezioni
Nelle praterie d’altitudine
I freschi pascoli e le praterie d’altitudine, come i prati da sfalcio e gli incolti a quote più basse, ospitano una fauna “minore” ricchissima: tra le erbe si muovono miriadi di insetti e di altri invertebrati.
Un mondo misconosciuto quanto affascinante che è uno dei pilastri fondamentali di ogni ecosistema terrestre: chi non ascolta con simpatia il canto delle cicale sotto il sole estivo o quello dei grilli la sera? O non resta incantato come un bimbo, davanti alle piccole luci intermittenti delle lucciole al volo delle policrome farfalle?
Tra i fiori delle praterie fresche e umide dei Monti Lepini, alle quote più basse, si possono ammirare le danze nuziali di leggere e vellutate farfalle: i piccoli lampi rossi o dorati dei satiridi del genere Melitaea, accompagnati dai riverberi azzurri e bruni di Polyommatus icarus. Ove l’ombra favorisce la crescita della velenosa aristolochia (Aristolochia spp.), si può incontrare Zerynthia polyxena, specie generalmente rara e localizzata mentre è molto più frequente un altro papilionide, il superbo macaone (Papilio machaon), il cui bruco si nutre del finocchio selvatico (Foeniculum vulgare) e di altre ombrellifere.
A quote superiori invece, dalla fine di maggio e sino alla metà di luglio vola sui fiori Parnassius mnemosyne, una farfalla “di montagna” poco diffusa e localizzata. Tra i verdi pascoli si rincorrono in volo i maschi del culbianco (Oenanthe oenanthe), intenti nelle loro scaramucce per la conquista del territorio e della femmina; questo timido e vivace uccelletto si osserva a partire dal mese di aprile e fino agli inizi di ottobre. La specie è infatti estiva e nidificante, a differenza della ballerina bianca (Motacilla alba), passeriforme del tutto simile nelle colorazioni ma sedentario e più comune nei pascoli come nelle campagne e in vicinanza dell’acqua; la sua elegante silhouette si nota spesso tra le mandrie e, non di rado, posata direttamente sulle groppe dei più grandi quadrupedi. I Monti Lepini sono caratterizzati dalla presenza di maiali allo stato brado che molti guardano con stupore e timore, ma sono soprattutto i cavalli a destare l’attenzione dei visitatori.
Sui Monti Lepini vive infatti una razza autoctona a diffusione limitata, considerata di interesse nazionale. E’ un cavallino di estrema rusticità, con criniera abbondante, mantello uniforme morello o nero, e dal temperamento vivace e attento. I branchi di questi pony dei Lepini pascolano allo stato brado e sono ritenuti gli unici veri cavallini “selvaggi” della penisola, tuttavia, una volta addestrati, mostrano un comportamento docile verso l’uomo, ed essendo di media taglia, nelle scuole di addestramento sono particolarmente adatti ai bambini.
In inverno, sui pascoli è presente regolarmente la pispola (Anthus pratensis): è facile individuarla sia per le colorazioni terricole, sia per una nota di richiamo breve, ripetuta in rapida serie, emessa soprattutto quando s’invola. Durante i passi migratori si può osservare il grazioso stiaccino (Saxicola rubetra), posato su un arbusto o uno stelo d’erba più alto, da dove si lancia sugli insetti; simile nel comportamento al saltimpalo (Saxicola torquata), se ne distingue per l’evidente sopracciglio bianco, la guancia scura e il petto color arancio.
Il saltimpalo è invece stazionario e nidificante, frequente in tutti gli ambienti aperti e soleggiati dei Lepini, fino a circa 1.200 m di quota. Prati, pascoli, radure ed ecotoni tra bosco e aree prative, vedono la presenza di ampie schiere di uccelli che utilizzano questi habitat in vario modo, soprattutto per l’alimentazione. La concentrazione di così tanti uccelli fa sì che proprio dalle aree boschive limitrofe giungano improvvise le incursioni del lodolaio (Falco subbuteo), mentre il gheppio e la poiana (Buteo buteo) scrutano dall’alto il terreno alla ricerca di piccoli mammiferi e rettili.
Alle quote non troppo elevate questi spazi aperti offrono ai sauri condizioni ambientali ottimali, tuttavia, le lucertole campestri s’incontrano anche in stazioni isolate oltre i 1.000 m, come sul monte Malaina (1.300 m), o sul Seprevisa, fino ma poco oltre i 1.500 m di quota: un vero record altitudinale per il Lazio. La luscengola comune o fienarola (Chalcides chalcides), invece, di solito non supera i 600-700 m ma è stata osservata anche sulla vetta del Monte Cacùme, a 1.096 m. Conosciuta come “fenaròla”, nonostante sia mite e non mordace, a causa del suo aspetto serpentiforme è spesso barbaramente ucciso dall’uomo.
I caratteristici cumuli di terra che si rinvengono sui prati, le “talpaie”, segnalano inequivocabilmente la presenza della talpa (Talpa romana) che sui Lepini è presente fino alle massime quote. Questo insettivoro trascorre gran parte della vita sottoterra, in un complesso sistema di gallerie che ispeziona periodicamente alla ricerca di lombrichi e larve di insetti. Molti agricoltori credono che la talpa si nutra di ortaggi e per questo la perseguitano; in realtà è un alleato dell’uomo, sia perché preda insetti dannosi, sia perché i suoi “scavi” mantengono aerati i terreni.
Le sue gallerie sotterranee sono utilizzate anche dall’arvicola di Savi (Microtus savii), roditore ampiamente distribuito sui Lepini e con popolazioni numerose. Anche il topo selvatico (Apodemus sylvaticus) è un roditore dalle abitudini crepuscolari e notturne, tuttavia, si può osservare in attività anche durante le ore diurne nelle fasce ecotonali tra il bosco e le aree erbose, soprattutto in primavera e in estate, quando raggiunge alte densità. L’elevata prolificità di queste e di altre specie di micromammiferi è contrastata efficacemente da numerosi predatori alati e terrestri, notturni e diurni.
Toporagni e crocidure, come la talpa, sono invece piccoli mammiferi insettivori; si riconoscono a prima vista per il corpo allungato e il muso appuntito terminante con una sorta di piccola proboscide. Tra questi, la crocidura ventre bianco (Crocidura leucodon) è la più “grande”, con i suoi 9 cm circa di lunghezza, coda esclusa, mentre il toporagno appenninico (Sorex samniticus), endemita italiano, è di poco più piccolo (7,8 cm). La crocidura minore (Crocidura suaveolens) si distingue invece dalla congenere per le minori dimensioni, raggiungendo al massimo i 7,5 cm coda esclusa.
Se si ha la fortuna di osservare in natura uno di questi piccoli mammiferi, si resterà colpiti dalla loro estrema mobilità: cercano e smuovono freneticamente la lettiera e le erbe alla ricerca di cibo. Sono “vittime” di un appetito irrefrenabile e continuo per il loro elevatissimo metabolismo che giornalmente li costringe ad ingerire quantità di cibo incredibili! Una caratteristica comportamentale che invece riguarda solo le crocidure, il cui significato non è ancora ben chiaro, è la singolare passeggiata “in fila indiana”: la madre in testa e i piccoli di seguito, ognuno attaccato alla pelliccia posteriore di chi lo precede.
Un altro mammifero, di taglia maggiore, ma soprattutto di notevole interesse conservazionistico, è la lepre italica (Lepus corsicanus). Non è stata ancora accertata la sua presenza ma alcune località meno accessibili dei Lepini potrebbero ancora ospitare piccoli nuclei di questa specie endemica italiana. E’ invece presente la congenere lepre europea (Lepus europaeus), immessa regolarmente a scopo di “ripopolamento”. I segni indiretti della presenza delle lepri sono facili da individuare: inconfondibili le impronte sul terreno innevato e gli escrementi, piccole sfere di 15-20 mm di diametro, compatte, di colore giallo-bruno, costituite essenzialmente da erbe secche triturate.
Testi tratti da:
“Lepini, Anima selvaggia del Lazio”
Edizioni Belvedere. ISBN: 88-89504-03-X