La suggestione dei Monti Lepini nasce dall’incantevole universo di forme e colori che costituiscono il paesaggio vegetale di queste antiche montagne. Camminando sui suoi sentieri si passa dagli affascinati paesaggi d’alta montagna (numerose vette raggiungono i 1.400 metri) e si arriva a quelli più solari e mediterranei del versante Tirrenico. Qui si può apprezzare la semplicità delle aree agricole o dei caratteristici terrazzamenti che contraddistinguono le zone meridionali e occidentali alle quote più basse.

L’eterogeneità ambientale è il frutto dell’integrazione di vari fattori: la peculiare posizione geografica dei Lepini (fra gli Appennini e il Tirreno), l’articolata geomorfologia (differente esposizione e pedenza dei versanti), l’elevata diversificazione microclimatica e la presenza di differenti substrati (rocce e suoli), uniti alla millenaria azione dell’uomo. Tutto questo ha creato un mosaico di comunità vegetali cui corrisponde un’eccezionale ricchezza floristica.

Tutta l’area, compresa in un intervallo altimetrico dal livello del mare fino ai 1.536 m del Monte Semprevisa, ospita circa 1.300 specie vegetali che corrispondono a più di un terzo dell’intera flora del Lazio!

Tali specie appartengono a regioni biogeografiche molto differenti tra loro e si susseguono e si fondono come tessere di un complesso mosaico, principalmente ordinate dal fattore climatico e altitudinale.

Il clima dei Monti Lepini

Il clima di questo gruppo montuoso è essenzialmente temperato, con inverni rigidi ed estati fresche. Il clima mediterraneo interessa solo marginalmente il comprensorio nella stretta fascia di raccordo tra i versanti sudoccidentali e la Pianura Pontina.
All’interno della regione temperata si individuano almeno 4 principali varianti climatiche (in funzione dell’esposizione, della quota e della morfologia dei versanti), ciascuna con peculiari valori di temperatura e precipitazioni.
Le aree cacuminali e i versanti sopra i 1.000 m sono contraddistinti da freddo invernale piuttosto intenso, con frequenti nevicate che spesso si verificano anche a primavera inoltrata. L’assenza di aridità estiva è dovuta a precipitazioni abbondanti in tutte le stagioni. E’ questo il clima che si riscontra sui principali rilievi come quelli dei Monti Semprevisa, Erdigheta, Lupone, Alto e Gemma.
Nelle zone collinari e pedemontane orientali, come quelle di Patrica, o della valle di Carpineto Romano, i rigori dell’inverno si attenuano gradualmente al diminuire della quota. L’aridità estiva è pressochè assente grazie alle copiose precipitazioni che tuttavia subiscono una lieve riduzione estiva solo nell’area di raccordo con il fondovalle del fiume Sacco.
I versanti collinari occidentali, e di gran parte della valle dell’Amaseno, beneficiano invece dell’azione mitigatrice del mare in misura maggiore: gli apporti estivi sono infatti sporadici e determinano un’aridità concentrata nei mesi di luglio e agosto.
La mancanza di precipitazioni estive si accentua ulteriormente in una stretta fascia pedemontana e collinare che comprende i territori tra Cori e Sezze: in quest’area il clima diviene tipicamente mediterraneo, con inverni miti ed estati calde e asciutte.

La vegetazione dei Monti Lepini

In questo contesto climatico le comunità vegetali si distribuiscono secondo esigenze ben precise: faggete, boschi misti, ostrieti, cespuglieti, prati-pascolo, ampelodesmeti, leccete, sugherete e macchie, si susseguono secondo un ordine definito dall’altitudine, dall’esposizione dei versanti e dalla tipologia del substrato.
Nella zona alto-montana, sopra i 1.000 m di quota, sono diffusi i boschi di faggio (Fagus sylvatica) e i pascoli d’alta quota, con numerose specie tipiche dei climi temperati centro-europei.
Tra 600 e 1.000 m, sempre in ambiti montani, divengono più frequenti i boschi misti di aceri e carpini, e i querceti a dominanza di cerro (Quercus cerri), con numerose piante caratteristiche delle regioni temperate orientali europee.

Castagneto
La neve sui Lepini
Faggeta

Infine, nelle zone collinari al di sotto i 600 m, sono più frequenti i boschi sempreverdi di leccio (Quercus ilex) e i cespuglieti della macchia mediterranea. Le praterie aride ad ampelodesma (Ampelodesmos muritanicus) e quelle dominate da piante annuali che ospitano una flora ricchissima, peculiare dei climi caldi e aridi del mediterraneo.
Anche l’uomo ha rappresentato un elemento determinante per la vita delle comunità vegetali, a volte profondamente modificate e impoverite dalla pratica della ceduazione, dal pascolo, dalle attività agricole e dai ricorrenti incendi estivi. Alcuni boschi originari sono stati sostituiti con oliveti, castagneti, vigneti, frutteti, prati a sfalcio e cedui.
Il graduale abbandono delle montagne, avvenuto soprattutto negli ultimi decenni del Novecento, ha però facilitato la ripresa della vegetazione spontanea e oggi si assiste lentamente alla riconquista di quegli spazi che le erano stati sottratti. Questo fenomeno favorisce la diffusione di quelle specie vegetali più rare e vulnerabili all’impatto derivante dalle attività umane.
Ne sono un ottimo esempio la rarissima Iris setina o lo splendido asfodelo giallo (Asphodeline lutea), pianta a rischio di estinzione locale perché spesso soggetta a raccolta incontrollata a causa della bellezza delle forme e del colore delle sue infiorescenze.

Le piante dei Monti Lepini

Osservando dal basso le pareti a strapiombo che spesso interrompono la continuità dei Monti Lepini, si nota che la monotonia del biancheggiante calcare è spezzata dai numerosi cespugli aggrappati tenacemente alla roccia con poderose radici. Quello che colpisce immediatamente, esaminando da vicino queste piante, è il portamento del tutto particolare rispetto a quelle che le stesse presentano in ambiti ecologici a loro più favorevoli.

Spesso, infatti, si ha l’impressione di avere di fronte dei bonsai, la cui crescita è fortemente ridotta e rallentata dalla carenza di acqua e nutrienti; caratteristiche sono anche la forma dei rami e dei tronchi, contorti e ravvicinati, e la crescita delle foglie, più piccole e poco distanziate tra loro.

La specie dominante è il leccio, facilmente riconoscibile anche d’inverno in quanto conserva le foglie, ma sono presenti anche il ginepro (Juniperus communis) e il più raro pero corvino  (Amelanchier ovalis), i cui piccoli fiori bianchi abbelliscono in maggio le rupi che si affacciano sulla Valle del Sacco.

Al margine dei ripidi gradini calcarei che scendono invece sulla Pianura Pontina è presente una specie rupicola caratteristica del bacino del mediterraneo, l’euforbia arborescente (Euphorbia dendroides). E’ riconoscibile per il colore verde brillante delle sue foglie che alla fine della primavera diventano rosse-dorate per poi ingiallire e cadere: è questa una forma di adattamento all’aridità estiva.

Tra le fessure e nelle cavità delle rocce trovano ospitalità anche numerose piante erbacee che a prima vista possono sembrare effimere, quasi delle superstiti, ma che in realtà sono vere e proprie pioniere, riuscendo a colonizzare superfici davvero inospitali. Una caratteristica che le accumuna è la succulenza, ossia la capacità di accumulare acqua nei fusti e nelle foglie, che appaiono infatti turgidi e rigonfi: per questo sono più spesso riconosciute come piante grasse.

Alcune di esse, per esempio le borraccine (Sedum sp.), vivono esclusivamente in stazioni soleggiate mentre altre, come l’ombelico di Venere (Umbilicus rupestris), crescono solo su rocce, ma anche muretti in pietra, in luoghi freschi ed umidi. Alcune specie prediligono l’ombra (ombrofile o sciafile) e si rifugiano all’ingresso delle numerose grotte: le più comuni sono le felci, come la cedracca (Ceterach officinarum) o la meno comune lingua cervina (Phyllitis scolopendrium), dalle foglie nastriformi che somigliano a lunghissime lingue vellutate.

Le rocce del Monte Cacùme (così viene chiamato localmente e non ‘Caccume’, come riportato nelle cartografie dell’Istituto Geografico Militare) ospitano specie singolari come Moehringia muscosa, dalle caratteristiche foglie filiformi, o endemiche dell’Appennino centrale, come le delicate campanule (Edraianthus graminifolius e Campamula tanfanii).

Le specie che crescono lungo i pendii sassosi o sui ghiaioni che si accumulano ai piedi delle pareti verticali, affrontano problemi maggiori in quanto vengono spesso coperte dai frammenti di roccia che cadono costantemente dall’alto o vengono trascinate più in basso con tutte le radici dai lenti e continui movimenti di questi materiali; oltre alla carenza d’acqua, devono resistere alla forte erosione del suolo causata dalla pioggia e dal vento.

Anche loro hanno evoluto caratteristiche anatomiche spesso tipiche di questi ambienti come un portamento basso e strisciante, la diffusione per stoloni, o ancora la capacità di rigenerarsi da frammenti della pianta madre. Tra le specie che crescono sui pendii sassosi e soleggiati dei Monti Lepini è doveroso ricordare il sempervivo di Ricci (Sempervivum riccii) pianta rarissima e protetta, dalla caratteristica infiorescenza a stella, mentre sui detriti del Cacùme è stata segnalata la rara Cardamine monteluccii, Viola eugeniae, un endemismo dell’Italia centrale, e un’orchidea rara, Ophrys incubacea.

Leccio
Ginepro

La presenza di piante colonizzatrici delle superficie rocciose favorisce l’accumulo di un sottile strato di terreno che prepara  le condizioni ambientali favorevoli alla crescita di altre piante meno specializzate.

Nelle piccole sacche di terra che si formano fra uno strato e l’altro si sviluppa, infatti, un tipo di vegetazione particolarmente resistente all’effetto disseccante dei venti e dei raggi solari. I botanici la chiamano gariga, termine derivato dall’espressione in lingua d’hoc con cui si indicavano i bassi cespugli a quercia spinosa della Francia meridionale.

Le garighe dei Lepini si presentano come un tappeto discontinuo, interrotto da roccia affiorante e pietre, formato essenzialmente da arbusti bassi e folti che si espandono in orizzontale, a volte con comportamento quasi strisciante. Tali arbusti sono spesso muniti di spine aguzze, di folte pelurie e di sostanze aromatiche (soprattutto oli essenziali e terpeni) che li rendono inappetibili al pascolo.

Sugli aridi versanti rocciosi o sulle pendici scoscese, all’inizio dell’estate si ammirano le profumatissime fioriture delle garighe a elicriso (Helichrysum italicum), dove trovano ospitalità altri bellissimi esempi di piccole piante legnose e aromatiche quali l’acino alpino (Acinos alpinus), la fumana comune (Fumana procumbens) o l’eliantemo maggiore (Helianthemum nummularium). Tali specie vengono definite in gergo tecnico ‘camefite’, ossia piante legnose perenni in cui le gemme che danno origine a foglie e fiori si sviluppano a un’altezza dal suolo inferiore ai 30 centimetri.

Altro splendido esempio di gariga è invece quella in cui domina la salvia domestica (Salvia officinalis) che, oltre a profumare e colorare i versanti soleggiati dei monti con matrice rocciosa affiorante, conferisce a questi ambienti un elevato valore naturalistico per rarità e bellezza.

Questi popolamenti rappresentano anche un’oasi ideale per diverse specie di orchidee, in particolare Ophrys bertolonii e Ophrys lacaitae, che con il loro fiore simile a un insetto riescono ad attrarre api e ditteri che ronzano tra i cespugli fioriti della gariga.

Helichrysum italicum
Ophrys Bertolonii

I versanti occidentali raggiunti dalle calde brezze marine caratterizzati da inverni miti ed estati particolarmente calde e secche sono dominati da una particolare ‘gariga a stramma’, formata dagli alti cespi (fino a 3 m) di Ampelodesmos mauritanicus, pianta mediterranea appartenente alla famiglia delle graminacee, meglio conosciuta dai contadini locali come ‘stramma’ o ‘tagliamani’.

Questa graminacea possiede un rizoma (fusto sotterraneo da cui partono le radici) che, oltre a permettere alla pianta di colonizzare facilmente i terreni aridi soggetti all’erosione, la rende particolarmente resistente ai ripetuti incendi che percorrono questi versanti. Infatti, dopo il passaggio del fuoco, le prime foglie verdi che ricrescono dal terreno arso sono proprio quelle dell’ampelodesma che, essendo anche poco appetibile, viene favorita dalla selezione esercitata dal pascolo. Tra le sue foglie fittissime non è raro vedere spuntare i piccoli arbusti della macchia mediterranea, accompagnati a volte anche dall’oleastro (Olea europaea var. sylvestris); nascoste sotto i suoi cespi crescono altre piante erbacee tipiche del clima caldo e arido di queste zone, quali il paléo delle garighe (Brachypodium retusum) l’eleosino (Elaeoselinum asclepium) e il barboncino mediterraneo (Hyparrhenia hirta), tutte specie la cui diffusione è favorita dal passaggio degli incendi. Tra gli impenetrabili e imponenti nuclei dominati dalla ‘tagliamani’ trovano posto piccoli lembi di terreno a prato, formati da decine di specie diverse; la loro ricchezza floristica si può apprezzare solo tra aprile e giugno, poiché le numerose e coloratissime specie che vi crescono, come per esempio la vulneraria annuale (Anthyllis tetraphylla), o Coronilla scorpioides, sono quasi tutte piante annuali che compiono il loro ciclo vitale nel breve periodo primaverile evitando così l’aridità estiva.

L’esistenza di queste particolari comunità erbacee tra i cespi della ‘stramma’ è resa possibile anche dal continuo degrado dei terrazzamenti a olivo, un tempo dominanti nella zona, e dalla pressione esercitata dal pascolo e dagli incendi, che frenano la tendenza dell’infestante ampelodesma a invadere tutto lo spazio disponibile.
Nelle aree soleggiate dei versanti marini, come in quelle interne più calde, si estendono i nuclei di macchia mediterranea: un fitto intrico di cespugli sempreverdi, frutto di un lungo processo di selezione operato dall’aridità e dal disboscamento avvenuti in tempi remotissimi.

Nel territorio dei Lepini al di sotto dei 600 m di quota, la diffusa presenza degli elementi della macchia mediterranea è dovuta alla degradazione dell’originario bosco sempreverde di leccio, tuttavia, un altro fattore fondamentale nella formazione del paesaggio attuale è il ricorrente passaggio del fuoco, che ha maggiormente influenzato struttura e composizione di questi tipici cespuglieti mediterranei.

Gli elementi dominanti sono costituiti principalmente dai folti arbusti sempreverde dell’alaterno (Rhamnus alaternus) e del lentisco (Pistacia lentiscus), che con il loro colore verde cupo si elevano fino a 3-4 m di altezza, accompagnati anche dal mirto (Myrtus communis) e dal corbezzolo (Arbutus unedo).

I fitti intrecci spinosi delle stracciabraghe (Smilax aspera) e della robbia selvatica (Rubia pellegrina) chiudono spesso il passaggio tra gli arbusti, sui quali si trovano attorcigliati anche la fiammola (Clematis flammula), graziosa liana dai fiori candidi e dai frutti piumosi, e il profumatissimo caprifoglio (Lonicera implexa e Lonicera etrusca).

Una presenza tipicamente mediterranea è anche quella dell’euforbia cespugliosa (Euphorbia characias), che forma grossi cespi rotondeggianti: è una pianta appariscente soprattutto durante la fioritura, quando sfoggia le sue tipiche infiorescenze a coppa (ciazii) che contengono ghiandole nettarifere rosso-brunastre, numerosi fiori maschili e un singolo fiore femminile.

La capacità di queste specie di ricostruire la parte aerea dopo un incendio è dovuta principalmente alle riserve contenute nelle radici, tuberi o bulbi rimasti nella zona ipogea non danneggiata dal fuoco. A questa categoria di piante (pirofite attive) appartengono le numerose orchidee che a primavera impreziosiscono queste pendici assolate con forme e colori irresistibilmente attraenti.
Ne sono un esempio gli eleganti e appariscenti fiori rosa di Orchis papilionacea o quelli di Serapis cordigera, i cui petali formano un casco allungato da cui sporge un labello rosso-porporino, simile a una lingua cuoriforme. Un casco lanceolato nella congenere S. vomeracea, piccolo, lanceolato e rivolto all’indietro nella S. parviflora e più lungo, a forma di lingua appuntita, quello di S. lingua.

Euphorbia Characias
Euphorbia Dendroides
Edraianthus Graminifolius

La comunità erbacee

Il primato della biodiversità floristica dei Monti Lepini spetta senza dubbio alle comunità erbacee, popolate da un gran numero di specie che, soprattutto in primavera, danno vita alle spettacolari miscele di colori e profumi. Rappresentano il luogo ideale dove sostare durante un’escursione, per uno spuntino o per godere del tepore del sole primaverile, e dove i bambini possono vedere da vicino gli animali domestici: pecore, mucche, capre, cavalli e pony dei Lepini, assieme ai loro piccoli. Anche se a prima vista i pascoli possono risultare tutti simili, le comunità erbacee in realtà sono ben diversificate dal punto di vista ecologico, a seconda della morfologia del terreno, della quota, del clima e dell’uso del suolo.

Sui pendii più acclivi, caratterizzati da suoli poco profondi e da una elevata presenza di roccia affiorante, s’incontrano praterie aride destinate al pascolo brado, dove il tappeto erboso è discontinuo e formato da piante di modestissima taglia, danneggiate dal morso degli animali.

Alle quote più basse, nelle praterie aride della fascia collinare e dei versanti sudoccidentali, dominano le specie annuali, che compiono il loro ciclo vitale durante la stagione primaverile, fiorendo e fruttificando prima del sopraggiungere dell’estate. Si tratta di una flora ricca di pregevoli elementi mediterranei che esplodono nello splendore di forme e colori nelle belle giornate di aprile e maggio.
Tra queste molte specie appartengono alla famiglia delle leguminose, quali la trigonella (Trigonella foenum-graecum), che esibisce i suoi caratteristici fiori gialli dal forte profumo di canfora, e il trifoglio stellato (Trifolium stellatum), il cui capolino a maturità appare come una grande sfera stellata e argentea.

Numerosi sono anche i rappresentanti della famiglia delle composite, come la cotolina annuale (Hypochoeris achyrophorus) e il boccione maggiore (Urospermum dalechampii), i quali a maturità formano le caratteristiche infruttescenze sferiche costituite da centinaia di pappi biancastri e piumosi che volano via al primo soffio di vento.

Non mancano inoltre le bellissime orchidee, come la rara Ophrys tenthredinifera e la più comune Ophrys sphegodes. All’aumentare della quota e verso esposizioni orientali e settentrionali, si rilevano invece praterie aride in cui prevalgono specie perenni (emicriptofite) che durante l’inverno proteggono le gemme a livello del terreno, nascoste sotto le foglie secche che si trovano alla base del fusto.

Queste fioriscono e fruttificano fino a estate inoltrata. Si tratta principalmente di graminacee quali il forasacco (Bromus erectus), il paléo meridionale (Koeleria splendens) e la codolina meridionale (Phleum ambigum), molto appetite dal bestiame.
Sono presenti inoltre specie molto profumate della famiglia delle labiate, come il camedrio montano (Teucrium montanum) e il timo a fascetti (Thymus longicaulis), e numerose orchidee spontanee tra le quali la splendida Anacamptis pyramidalis, comune, l’orchide omiciattolo (Orchis simia) e il celoglosso (Coeloglossum viride), più rare.

Sulle superfici pianeggianti, oltre alle colture di grano, ormai sempre più rare, si sviluppano comunità di erbacee del tutto differenti dalle precedenti che, beneficiando di suoli profondi e più fertili dove l’acqua permane a lungo nel terreno, formano un tappeto erbaceo compatto, dominato principalmente da graminacee foraggiere. Queste praterie vengono utilizzate dall’uomo come prati recintati e sfalciati o come superfici pascolate durante tutto l’anno.

I prati da sfalcio sono caratterizzati dalla dominanza di alte erbe che possono superare il metro di altezza, quali l’orzo bulboso (Hordeum bulbosum), il loglio comune (Lolium perenne) o la covetta dei prati (Cynosurus cristatus); a queste si accompagnano molte altre specie di particolare pregio e bellezza, per esempio il vilucchio comune (Convolvus arvensis), dai bellissimi fiori campanulati color lilla, o il cipollaccio (Leopoldia comosa), dalla caratteristica infiorescenza blu a candelabro e bulbo sotterraneo dal forte odore di cipolla.

Ottimi esempi di questi prati s’incontrano ai Campi di Segni e di Montelanico, al Pian della Croce come nella Valle di Monteacuto, dove le recinzioni (rigorosamente fatte di paline di castagno) separano questi prati soggetti alla falciatura dalle praterie permanentemente pascolate.

Trifolium stellatum
Trigonella Foenum Graecum
Koeleria Splendens

Queste ultime, a causa della pressione esercitata dal bestiame, si presentano con un tappeto erboso raso, di pochi centimetri di altezza; sono contraddistinte sia dalla presenza di specie spinose inappetibili, quali il fiordaliso stellato (Centaurea calcitrapa), il cardo a capolini grande (Carduus macrocephalus) o il cardo italico (Cirsium italicum), sia da specie infestanti degli ambienti calpestati, quali la piantaggine maggiore (Plantago major), l’euforbia calenzuola (Euphorbia helioscopia) e la borsapastore annuale (Capsella rubella).

Il Leccio

Tra i querceti mediterranei i boschi di leccio sono sicuramente i più ombreggiati. Il leccio è infatti un albero sempreverde che cambia gradualmente le sue foglie durante tutto l’anno, per cui i suoi rami non sono mai spogli. Per questo nei secoli la lecceta è usata come bosco ceduo per la produzione di carbone. Sono boschi fitti e ombrosi costituiti da gruppi di esili tronchi che si dipartono da un’unica base e si compenetrano in alto, formando una volta chiusa, impenetrabile ai raggi del sole, che lascia filtrare a terra una luce fioca. Alberi secolari e di grandi dimensioni non sono rari, ma si ritrovano per lo più isolati, non all’interno del bosco: un bell’esemplare cresce per esempio sulle pendici del Monte Cacùme, noto ai pastori del luogo come ‘lucinotto’, oppure quello maestoso di Sermoneta. Le foreste sempreverdi di leccio sono ampiamente diffuse nel piano submontano, lungo i versanti interni della valle di Carpineto Romano o in quelli suboccidentali del gruppo del Semprevisa.

Il Bosco

Nelle zone non più soggette ai turni di ceduazione, la lecceta viene gradualmente invasa da specie caducifoglie come la roverella (Quercus pubescens), il terebinto (Pistacia terebintus) o il carpino nero (Ostrya carpinifolia). Una presenza costante è quella dell’orniello (Fraxinus ornus), con i caratteristici frutti a samara allungata, che in autunno risalta per le sfumature dorate delle foglie. Lo strato erbaceo è povero di specie a causa della esigua quantità di luce che raggiunge il suolo: risaltano le foglie cuoriformi della viola bianca (Viola alba) e le fioriture gialle della cornetta dondolina (Coronilla emerus).

Alla base dei tronchi è quasi immancabile l’asplenio maggiore (Asplenium onopteris): a dispetto del nome, è una felce minuta, con fronde pennate e lucide. Queste formazioni risultano ricche anche di specie lianose come la robbia selvatica, l’edera (Hedera helix) e il tàmaro (Tamus communis).

Immancabili sono il pungitopo (Ruscus aculeatus) e l’asparago (Asparagus acutifolius), dalle sgargianti bacche rosse.

Sui versanti più ripidi la lecceta spesso sovrasta il bosco misto o entra in diretto contatto con la faggeta, bosco che in genere si sviluppa a quote superiori rispetto a quello di leccio. Questo fenomeno di inversione nella distribuzione altimetrica della vegetazione si verifica perché il leccio riesce ad insediarsi con successo sui pendii acclivi e aridi, dove il suolo è poco profondo e inadatto alle altre specie arboree più esigenti dal punto di vista ecologico, come il faggio.

In queste leccete, generalmente dall’aspetto di boscaglie, si ritrovano specie meno termofile, come il sorbo montano (Sorbus aria). Lungo il solco vallivo Maenza-Carpineto Romano-Montelanico, nei boschi sempreverdi che occupano la fascia submontana, trovano ospitalità densi cespugli di erica arborea (Erica arborea), che altrove costituisce un elemento della macchia mediterranea, mentre sui Lepini si osserva con una certa frequenza, a volte assieme al ginepro, lungo i margini dei cedui di leccio.

Nelle radure fioriscono diverse specie di orchidee, come Cephalanthera longifolia e Ophrys tetraloniae, entrambe molto rare, e la più comune Orchis provincialis.

Nel piano collinare le leccete sono meno estese e coprono in genere i versanti soleggiati esposti a occidente, come sotto l’abitato di Sermoneta e sul Monte Acquapuzza, oppure sulle pendici lungo la Valle dell’Amaseno, per esempio sotto il centro abitato di Maenza che, rispetto a quelle delle zone interne, sono più ricche di elementi termofili come il corbezzolo, l’erica arborea e la stracciabraghe.

Leccio
Asparagus Acutifolius
Cuscus Aculeatus

La Sughera

I boschi di leccio non sono l’unica formazione arborea sempreverde dei Lepini: l’altra tipologia forestale tipica dell’area mediterranea è il bosco dominato dalla sughera (Quercus suber), a cui si accompagnano il leccio, il cerro e il farnetto (Quercus frainetto).
La composizione dello strato arboreo ricorda molto quella delle foreste planiziali del Lazio che, prima della bonifica e la messa a cultura della Pianura Pontina, dovevano costituire un elemento importante del paesaggio vegetale della fascia costiera interna.
All’estremità meridionale del territorio Lepino si conservano due significativi esempi: la sughereta di Fossanova (nei pressi di Priverno) e quella, meno estesa, in località la Foresta a Sezze. Passeggiando in questi boschi sempreverdi, ci si rende immediatamente conto di quanto l’aspetto della sughereta sia diverso da quello della lecceta.

La possibilità di utilizzare una parte della corteccia di questa quercia, il noto sughero, ha fatto sì che questi popolamenti non subissero la pratica della ceduazione come quelli di leccio; il bosco appare subito più aperto e luminoso, formato da alberi spesso di notevoli dimensioni, con ampie chiome ben distanziate tra loro. Alla base degli alberi si sviluppa un folto strato di cespugli formato sia da specie caducifoglie, sia da quelle più tipiche della macchia mediterranea.

Tra maggio e giugno il sottobosco è reso ancor più luminoso dalle dorate fioriture di due ginestre che sembrano trovare le condizioni di crescita ideale in questo habitat: Cytisus villosus e Cytisus sessilifolius. Oltre alle ginestre lo strato arbustivo è costituito dalla ginestrella comune (Osyris alba), dal biancospino (Crataegus sp.), dal ligustro (Ligustrum vulgare) e dal prugnolo (Prunus spinosa).
Anche lo strato erbaceo ospita una ricca flora: già all’inizio della primavera il sottobosco si colora con le fioriture di Anemone hortensis, Ornithogalum umbellatum e dello zafferanetto (Romulea bulbocodium), che essendo piante munite di un bulbo sotterraneo fioriscono precocemente, per poi lasciare il posto alla betonica comune (Stachys officinalis), al clinopodio (Clinopodium vulgare) e all’erba lucciola (Luzula forsteri), molto frequenti.

Sughero

Significativa, sebbene più rara, è la presenza della profumata lavanda selvatica (Lavandula stoechas), che normalmente cresce sui suoli acidi delle garighe a cisti.

La copiosa presenza di sughera nelle due stazioni dei Lepini coincide con l’esistenza di terreni prevalentemente sabbiosi. A differenza del leccio infatti, la sughera ben si adatta ad ambienti più freschi e ai suoi silicei con acidità spinta, condizioni che si verificano per esempio sui terreni vulcanici o sabbiosi. In entrambi i casi le sugherete dei Lepini si sono infatti sviluppate in corrispondenza di dune relitte, ossia di antiche dune litorali rimaste intrappolate nell’entroterra a seguito dell’avanzamento della linea di costa.

Oltre alla sughera, questo particolare substrato favorisce l’abbondanza di altre specie legnose quali il corbezzolo e l’erica arborea che tollerano bene i suoli acidi e drenanti e si adattano a vivere sui terreni luminosi e impoveriti dal frequente passaggio del fuoco, contro il quale la sughera è invece ottimamente difesa grazie alla spessa corteccia.

La progressiva riduzione delle attività agro-silvo-pastorali nelle zone collinari e montane dell’Appennino negli ultimi decenni ha favorito l’espansione delle comunità arbustive e forestali, che pian piano stanno riconquistando quelle superfici utilizzate a pascolo o a scopo colturale.

Sui Monti Lepini si osservano infatti più di frequente pascoli sempre meno sfruttati dove è evidente la progressiva invasione dei cespuglieti caducifogli: molti sono ormai gli esempi di ampie superfici pascolate ricoperte di alti arbusti impenetrabili.

I cespuglieti caducifogli rappresentano un elemento paesaggistico di notevole importanza, in quanto oltre a costituire un’ottima fonte alimentare, soprattutto per l’avifauna (i frutti sono costituiti spesso da gustose bacche appetite dalla maggior parte degli uccelli), offrono anche rifugi sicuri per una folta schiera di piccoli animali.
Le specie caducifoglie meglio rappresentate sono il prugnolo, il rovo (Rubus ulmifolius), il biancospino (Crataegus sp.) e la ginestra comune (Spartium junceum), sui quali si intrecciano spesso alcune piante lianose come la vitalba (Clematis vitalba), l’edera e la robbia domestica (Robia tictorum).

La Sughereta

A dare un tocco di colori e profumi ci pensano poi le fioriture primaverili delle tante rose selvatiche, tra cui la rosa di S. Giovanni (Rosa sempervirens), la rosa delle siepi (Rosa agrestis) e Rosa canina. I boschi misti sono tra le comunità vegetali più varie e ricche di specie, poiché le essenze arboree che li compongono (essenzialmente querce, carpini e aceri) sono meno esigenti e si adattano a vivere in un ampio intervallo altitudinale.

Rosa agrestis
Spartium Junceum
Lavandula Stoechas
Quercus Frainetto

La roverella

Ogni comunità forestale ha però un suo spazio ecologico, ossia un insieme di fattori (luce, temperatura, quantità di pioggia ed esposizione dei versanti) che combinati insieme determinano la presenza di un tipo di bosco rispetto ad un altro, e influiscono sulla loro composizione in specie e sul loro aspetto. Così, per esempio, nel territorio Lepino le formazioni dominate dalla roverella sono le più termofile tra i boschi di querce caducifoglie: durante l’anno necessitano infatti di una discreta di calore e resistono a una maggiore aridità estiva.

Alcuni frammenti di queste comunità sono sopravvissuti in poche località collinari e in alcune vallecole più interne della catena montuosa. Oggi le superfici boscate sono circa il 30% del territorio dopo che il secolo scorso si sono diffuse monoculture come oliveti, vigneti e castagneti.
Nello strato arboreo dominato (ossia quello che si sviluppa all’ombra degli alberi più alti e dominanti) sono presenti l’orniello, l’acero campestre (Acer campestre) e il corniolo (Cornus mas).
La chioma rada della roverella permette a una discreta quantità di luce di raggiungere il sottobosco e ciò favorisce la presenza di numerose specie legnose, tra cui il sorbo domestico (Sorbus domestica) e l’olmo campestre (Ulmus minor).
Sempre nella fascia collinare, ma su pendii acclivi dei rilievi più interni, trovano spazio particolari formazioni simili a boscaglie, dominate dalla fillirea (Phyllirea latifolia) e dal terebinto, ai quali si accompagnano l’acero minore (Acer monspessulanum) e l’albero di Giuda (Cercis siliquastrum).
Nella fascia submontana fra i 450 e i 700 m, e in corrispondenza delle ampie depressioni carsiche note come ‘campi’, di Montelanico o di Segni, i suoli sono più profondi e fertili, caratterizzati dalla presenza di terre rosse e di materiali di origine vulcanica.

La preziosa e costante presenza dell’acqua, dovuta anche alla componente argillosa di questi terreni, prepara le condizioni ideali per lo sviluppo di comunità che vantano il primato della biodiversità: sono i querceti misti dominati dal cerro, una quercia slanciata riconoscibile soprattutto per le sue ghiande protette da una cupola riccia.

Salendo verso le quote maggiori, soprattutto lungo i versanti esposti a nord e in quelli orientali delle cime più alte, il bosco di cerro cambia gradualmente composizione arricchendosi di specie arboree che necessitano di climi più freschi, come il carpino bianco (Carpinus betulus), il tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), il nocciolo (Corylus avellana) e la rara fusaggine orientale (Euonymus latifolius).

Dalla primavera all’autunno la vita in questi boschi è un avvicendarsi di forme, colori, odori e suoni diversi, che scandiscono con precisione l’alternarsi delle stagioni. Nel sottobosco sbocciano i fiori della rosa cavallina (Rosa arvensis) e del biancospino selvatico (Crataegus oxyacantha).

Più tardi fioriranno le piante erbacee legate alle cerrete: l’erba-perla (Buglossoides purpurocaerulea) e la scutellaria (Scutellaria columnae), che si distingue per la corolla purpurea forgiata in un lungo tubo.

Non mancano poi piante rare come la stafilea o borsolo (Staphylea pinnata), o meritevoli di protezione, come il giglio rosso o giglio di S.Giovanni (Lilium bulbiferum), e le diverse orchidee che fioriscono sulla lettiera ricca di humus, come la platantera (Platanthera chlorantha), la rara Listera ovata, l’incantevole Cephalanthera rubra o la rarissima Ophrys holoserica subsp. elatior.
In estate sono ormai maturi i frutti scuri della dafne (Daphne laureola) e quelli sgargianti della berretta di prete (Euonymus europaeus). L’autunno è caratterizzato da una pioggia di foglie dorate, come quelle a forma di fiammella del ciavardello (Sorbus torminalis) o quelle palmate dell’acero d’Ungheria (Acer obtusatum), che si accumulano ai piedi degli alberi formando un soffice tappeto.

Con il freddo e le prime nevicate rallenta l’attività vegetativa delle piante, pur se con qualche eccezione, come l’elleboro puzzolente (Helleborus foetidus), che fiorisce già in gennaio.

Il periodo di riposo spesso è solo apparente perché sui rami si preparano le nuove gemme che si apriranno in primavera. Sui versanti caratterizzati da pendenze molto pronunciate e da un clima decisamente più temperato, si osserva un’altra tipologia forestale molto diffusa nel territorio dei Monti Lepini: l’ostrieto.
Estesi popolamenti si attraversano, per esempio, lungo gli allineamenti dei rilievi di Monte della Difesa-Erdigheta, Monte Furchiavecchia-Carbolino e Monte Pratiglio-Melazza, soprattutto nei versanti nord-orientali.Lo strato arboreo è quasi interamente dominio del carpino nero
, favorito soprattutto dalla ceduazione, e del carpino orientale (Carpinus orientalis); caratteristica di questo ambiente è anche la fioritura gialla del maggiociondolo (Laburnum anagyroides).

Carpinus Betulus
Cercas Siliquastrum

Faggi

Ai piedi degli alberi spuntano isolate le rosette fogliari di Viola alba subsp. Dehnhardtii, mentre Sesleria autumnalis forma un folto tappeto dal quale emergono gli scapi fiorali dell’endemica digitale appenninica (Digitalis micrantha) e dell’erba limona (Melittis melissophyllum), dal caratteristico odore. Quando si attraversa un bosco di faggio spesso si ha l’impressione di trovarsi in un tempio antico, ricco di colonne maestose, in cui regna un silenzio quasi sacro.

Faggete formate da alberi slanciati e chiome maestose trovano il loro ambiente d’elezione sui maggiori rilievi dei Lepini, tuttavia, il limite altitudinale varia a seconda dell’esposizione. Nei versanti sudoccidentali la faggeta è relegata a quote più elevate, spesso superiori ai 1.200 m, mentre in quelli nordorientali si attesta generalmente a partire da quota 800, con rare stazioni in cui il faggio scende anche a 600 e fino a 400 metri.

Boschi di faggio estesi e ricchi di esemplari imponenti, che andrebbero inseriti tra gli alberi monumentali del Lazio, si ammirano nelle vallate più interne e selvagge a ridosso dei monti Malaina o Semprevisa, nel gruppo Salerio-Gemma o del Lupone. Nell’ambiente dominato dal faggio l’aria è spesso fresca e ricca di umidità, conservata anche dallo spesso strato di lettiera indecomposta che si accumula ai piedi degli alberi nel succedersi delle stagioni.

I Monti Lepini, come i maggiori rilievi montuosi del settore tirrenico dell’Appennino, sembrano particolarmente adatti allo sviluppo di questi consorzi forestali, a causa del consistente apporto di correnti umide che determinano nebbie e precipitazioni abbondanti anche durante la stagione estiva.
Il forte ombreggiamento creato dalle fitte chiome dei faggi favorisce la presenza di piante che sopravvivono anche con una bassa intensità di luce (sciafile), molto esigenti di azoto e con foglie larghe, come la mercorella (Mercurialis perennis), il gigaro scuro (Arum maculatum) e l’erba fragolina (Sanicula europaea). Numerose sono poi le specie a fioritura precoce come Allium pendulinum, Scilla bifolia o il grazioso bucaneve (Galanthus nivalis).

Bosco di Faggi
Ulmus Minor
Corylus Avellana

Testi tratti da “Lepini, anima selvaggia del Lazio” . A cura di Corsetti L. per Edizioni Belvedere.

Fanno parte di questa sezione: 

Introduzione | Storia Geologica | Carsismo | Flora e Vegetazione | Fauna