Il paesaggio montano così come lo vediamo è il risultato di complessi processi geologici, non sempre facilmente comprensibili, e dell’azione di agenti esterni o superficiali, come l’acqua e il vento. Il carsismo è l’insieme di quei fenomeni che modificano il paesaggio montano, agendo fisicamente e chimicamente su di esso con forme facilmente riconoscibili.

Il termine carsismo deriva da ‘carsa’ (‘karra’ o ‘garra’), parola di origine pre-indoeuropea che significa roccia, pietra. Inizialmente il carsismo era associato alla regione del Carso, al confine tra l’Italia e la Slovenia, ma oggi la parola ‘carso’ è un termine di uso internazionale che indica un particolare tipo di paesaggio presente in molte parti del mondo. Un paesaggio dove affiorino rocce solubili come quelle carbonatiche (calcari, calcari dolomitici, dolomie) o saline (gesso, salgemma, etc.), che costituiscono il 15% delle terre emerse.

Dal punto di vista scientifico il fenomeno carsico è dovuto all’erosione di tipo chimico che l’azione solvente delle acque meteoriche produce sui diversi tipi di rocce dei climi temperati, soprattutto su quelle calcaree (come quelle dei Monti Lepini).

Le acque piovane, ricche di una discreta quantità di biossido di carbonio, diventano leggermente acide e innescano una reazione chimica che dal carbonato di calcio delle rocce calcaree (insolubile in acqua) porta alla formazione di bicarbonato di calcio che viene facilmente asportato in soluzione.

Gli ambienti carsici si presentano dunque con estesi affioramenti rocciosi, assenza di idrografia superficiale (fiumi, ruscelli, etc.) o poco sviluppata, e presenza di numerose depressioni e cavità sotterranee.

Il paesaggio carsico è, per così dire, ‘tridimensionale’ poiché si sviluppa anche nel sottosuolo con una serie di cunicoli, gallerie e pozzi che costruiscono un vero labirinto di cavità sotterranee. Una delle forme carsiche superficiali (o epigee) più evidenti è rappresentata dalle doline, avvallamenti del terreno di forma circolare o ellittica e di dimensioni estremamente variabili, da pochi a diverse centinaia di metri.

Il Carsismo nei Monti Lepini

Ad Artena si può osservare la dolina di Ara l’Oveso e a Sezze quelle di Pian della Quartara, una delle quali è larga circa 200 metri. Un tipo particolare di paesaggio a doline è quello dell’altopiano tra Gorga e il Monte Malaina (Lepini orientali), simile ai cockpit delle aree tropicali, probabilmente una morfologia relitta del Pliocene (5-1,8 milioni di anni fa).

Forme carsiche meritevoli di una visita sono i suggestivi chicots (‘campi d’anime’), come quelli nella Valle Santa Maria a Maenza, e la ‘città di roccia’ de’ ‘i Porciani’ a Carpineto Romano.

Unica nel paesaggio carsico dei Monti Lepini è la formazione ‘le Pantane’ a Carpineto Romano, dove un esteso strato roccioso di circa 800 m² è attraversato da numerosi fori di dissoluzione (pipes) disposti secondo linee parallele, coincidenti con le fratture della roccia. Grandi depressioni carsiche, note come polje, si trovano a ‘le Faggeta’ (Carpineto Romano), Campo di Caccia (Gorga) e ai campi di Segni e di Montelanico.

Le grotte dei Monti Lepini

Ma il fascino di un’area carsica è senza dubbio dovuto agli ambienti sotterranei, in particolare alle grotte. Nei Monti Lepini ci sono centinaia di grotte e il numero di quelle conosciute aumenta di giorno in giorno con le esplorazioni degli speleologi.

Consultando il Catasto delle Grotte del Lazio, i dati sono eloquenti: delle 1.452 grotte segnalate nel Lazio ben 488 (33,6%) si trovano nel comprensorio dei Monti Lepini e, tra i comuni a più alta densità, si trova Carpineto Romano con 233 grotte.

Alcune grotte raggiungono lunghezze o profondità impressionanti: l’Ouso della Rava Bianca (Carpineto Romano) e l’Inghiottitoio di Campo di Caccia (Gorga) sono al primo e secondo posto nella classifica delle cavità più profonde del Lazio raggiungendo rispettivamente 676 e 610 m. Sono seguite al quarto posto dall’Abisso Consolini (Carpineto Romano) profondo 555 m, mentre la Grotta del Formale (Carpineto Romano) è al terzo posto tra quelle più lunghe del Lazio, con 2920 metri.

Un cenno a parte meritano poi la Grotta del Fiume Coperto e la Grotta della Cava (Bassiano) ai piedi dei Monti Lepini, la cui genesi è legata alla risalita di fluidi caldi (15-15 °C) e ricchi di acido solfidrico (H²S) dalla crosta terrestre con peculiare formazione di deposito di gesso.

E’ doveroso ricordare che l’esplorazione delle grotte, regno dell’oscurità e del silenzio, è praticabile solo da esperti speleologi!

Grotte carsiche sui Lepini

Le sorgenti dei Monti Lepini

Il fitto reticolo di piccole cavità sotterranee permette all’80% dell’acqua piovana di penetrare nel sottosuolo drenando verso la Pianura Pontina dove riemerge in numerose sorgenti.

Infatti il massiccio dei Lepini è circondato da rocce a permeabilità più bassa che lo isolano idraulicamente. Questa cintura a bassa permeabilità è formata dai sedimenti argilloso-arenacei della Valle Latina (a circa 150 metri di quota), dai depositi argilloso-sabbiosi della Pianura Pontina (a circa 30 metri di quota) e dai sedimenti lacustri della Valle dell’Amaseno, a quota intermedia tra i primi due.

La falda drena per gravità verso la quota più bassa della Pianura Pontina e, lungo questa linea di contatto tra le rocce carbonatiche permeabili e sedimenti a bassa permeabilità, sgorgano le acque limpide e fresche di numerose sorgenti, la cui portata media annua non è inferiore ai 15 m³ al secondo. Tra le più importanti si annoverano quelle che danno origine ai laghetti del Vescovo (o Gricilli) e Ninfa, la Fontana Muro, le Sardellane e la Mola dei Frati.

Parte di quest’acqua viene bloccata nella sua corsa verso il basso dalla presenza di strati di roccia impermeabili all’interno del massiccio carsico, permettendo la formazione di sorgenti d’alta quota. Si formano così la Sorgente la Fota, l’Acqua della Chiesa o la Sorgente S. Angelo disposte lungo il versante occidentale del Semprevisa.

Agli strati dolomitici si devono invece altre sorgenti che si spingono fino a quote elevate, come la Fontana S. Marino, la Fontana Le Mole, l’Acqua del Carpino o la Fontana del Sambuco, a 1.310 metri.

Le sorgenti d’alta quota, anche se erogano portate irrisorie rispetto a quelle basali, hanno un’importanza notevole per la pastorizia, sono indispensabili anche per la fauna selvatica e per i numerosi escursionisti che percorrono i sentieri dei Monti Lepini.

Testi tratti da “Lepini, anima selvaggia del Lazio” . A cura di Corsetti L. per Edizioni Belvedere.

Fanno parte di questa sezione: 

Introduzione | Storia Geologica | Carsismo | Flora e Vegetazione | Fauna