I Monti Lepini erano un arcipelago formato da isole coralline e intertropicali. Per capire la loro storia geologica dobbiamo lavorare con l’immaginazione e immaginare un caldo oceano, durato circa 135 milioni di anni, durante l’Era Mesozoica. Le acque tropicali della Tetide ricoprivano le vecchie aree continentali, ormai frammentate, che si formarono quando la placca euro-asiatica si allontanò da quella arabo-africana.

Era l’inizio della storia delle grandi piattaforme carbonatiche e i Monti Lepini rappresentano proprio il settore più occidentale della piattaforma laziale-abruzzese. Qui le acque tropicali poco profonde erano ideali per far prosperare una rigogliosissima attività biologica. Infatti alghe, coralli e spugne utilizzano il carbonato di calcio per creare i loro gusci e scheletri.

Colonie di questi organismi con i loro gusci hanno formato complessi ‘edifici’ in continua crescita. Così da una parte gli ammassi biocostruiti si estendevano e innalzavano e dall’altra il fondo marino sprofondava lentamente (fenomeno della subsidenza).

L’interpretazione di quello che accadde in un mondo lontanissimo nel tempo, come quello della piattaforma laziale-abruzzese, è stata possibile grazie all’analisi di rocce e fossili (resti di organismi intrappolati nei sedimenti) di tutto l’Appennino. Le rocce calcaree e dolomitiche dei Monti Lepini appaiono stratificate e i diversi strati si possono leggere come le pagine di un libro: ognuno di essi corrisponde ad un determinato intervallo di tempo e lo studio dei fossili consente di stabilirne età ed ambiente di formazione.

Le rocce dei Monti Lepini si sono dunque formate durante l’Era Mesozoica, o secondaria, in ambiente marino.

In un arco di tempo che va dal Giurassico inferiore (circa 180 milioni di anni fa) al Cretacico superiore (circa 70 milioni di anni fa), si è formato uno strato complessivo dello spessore di circa 3.000 metri.

Fossile
Tracce dinosauri
Immagine Tetide

La laguna fossile di Bassiano

In alcuni, vicino la costa, si sono formate vaste lagune fangose come la laguna fossile di Bassiano che ha dato origine al bellissimo affioramento, detto del ‘calcare litografico’, poiché in passato il calcare come quello di Bassiano veniva utilizzato per la stampa delle litografie.

In alcune località del territorio di Bassiano affiorano piccoli strati di dolomie bituminose, di color grigio scuro, ricchi di resti di conifere fossili dal genere Brachiphyllum e da altre piante. Qualche volta si trovano resti di pesci, in particolare del genere Pleuropholis, di coproliti (escrementi fossili di organismi diversi), piccoli bivalvi, crostacei e gasteropodi correlabili al Giurassico medio (circa 175 milioni di anni fa). Questo giacimento è uno dei rarissimi siti italiani contenenti pesci e piante fossili risalenti allo stesso intervallo temporale.

Con ogni probabilità il bacino lagunare era caratterizzato da acque stagnanti con una forte concentrazione di sali disciolti, come risulta dalla buona conservazione dei resti vegetali trovati. La loro presenza allo stato fossile riveste grande importanza poiché prova la vicinanza delle terre emerse alle aree marine e, soprattutto, indica come tali zone siano state soggette alle continue variazioni del livello del mare.

Infatti i resti di piante che si depositavano sul fondo di lagune, stagni o laghi, si conservano perfettamente poiché venivano subito ricoperti di sedimenti e venivano protetti da un ambiente privo di ossigeno che li preservava dagli attacchi batterici e dalla decomposizione.

Aree di piattaforma carbonatica con caratteristiche ambientali come quelle del sito di Bassiano, con terre emerse vicine a lagune, erano molto più diffuse di quanto si possa immaginare. Basti ricordare gli ultimi ritrovamenti fossili di resti scheletrici e impronte di dinosauri nell’Appennino, come per esempio quelli di Ciro (Scipionyx samniticus), il primo dinosauro italiano ritrovato a Pietraroia (Benevento), o le centinaia impronte fossili di dinosauro scoperte ad Altamura e sul Gargano (piattaforma apula).

I dinosauri di Sezze

Ma i dinosauri avranno mai lasciato loro testimonianze nelle rocce Lepine? Le ampie zone emerse dove si sviluppava rigogliosa la vita animale e vegetale, tra primitive piante con fiori e frutti, come testimoniano i fossili di flora continentale giurassica di Bassiano, lasciano ragionevolmente supporre la presenza di dinosauri, gli enormi rettili veri dominatori degli ambienti mesozoici.

Nel 2003, nel territorio di Sezze sono state scoperte centinaia di orme fossili di dinosauro. Questo straordinario ritrovamento, unico nel Lazio, colloca il comprensorio dei Monti Lepini tra i rari luoghi italiani dove le ‘terribili lucertole’ hanno lasciato impronte fossili.

La nascita degli Appennini

Le piattaforme carbonatiche sono caratterizzate dalla presenza di organismi diversi. Si può paragonare la storia delle scogliere a un’opera teatrale di successo replicata numerosissime volte, in cui gli attori (gli organismi) cambiano, ma la trama (la struttura della scogliera) resta la stessa.

La piattaforma, i cui sedimenti hanno dato origine alle rocce carbonatiche dell’Appennino, è stata occupata soprattutto da molluschi bivalvi di notevoli dimensioni, le ‘rudiste’. Le loro conchiglie, di forma cilindrica o conica, costituivano compatti aggregati che resistevano alla forza d’urto del moto ondoso e delle correnti marine. Erano formate da due valve a sviluppo disuguale: di solito la prima presentava una forma conica, ancorata al substrato, mentre l’altra aveva funzioni di tipo opercolare.

Con la morte dell’animale il guscio costituiva il substrato per le generazioni successive che ne edificavano di nuovi ancorandoli ai sottostanti, e così via. Nell’area dei Monti Lepini, un po’ ovunque si osservano gli affioramenti fossiliferi a rudiste, in alcuni casi costituiti da banchi o formazioni di organismi gregari ancora in posizione fisiologica.

A un occhio attento non sfuggono i gusci interi di dimensioni superiori ai 10 cm, a forma di spirale schiacciata, di Caprina schiosensis, in associazione a frammenti di corallo ed echinoidi (fossili simili agli attuali ricci di mare), in alcuni siti, alle associazioni fossili di Sauvagesia sharpei o di Durania cornupastoris. Tali organismi, tipici di un ambiente di scogliera, identificavano il margine della piattaforma laziale-abruzzese, ossia l’area di scogliera più elevata rispetto alle zone di laguna più profonde.

In altre località dei Monti Lepini sono invece presenti numerosi banchi e radiolitidi e ippuritidi, indicanti aree di piattaforma interna vicine alla scogliera. In alcuni affioramenti si riconoscono poi coralli, nerinee (gasteropodi tipici di ambienti marini bene ossigenati) e rudiste del Turoniano (circa 90 milioni di anni fa). In questo caso l’ambiente marino doveva essere quello di una scogliera in cui l’energia del moto ondoso era elevata.

Ma anche le rudiste, assieme a molti altri gruppi di organismi viventi, e proprio come i dinosauri, andarono incontro ad una crisi biologica di notevoli proporzioni alla fine del Cretacico (circa 65 milioni di anni fa), decretandone l’inesorabile declino e l’estinzione.

Le comunità di scogliera del mondo vennero quindi progressivamente sostituite dai coralli e dalle alghe corallinacee, associazione quest’ultima destinata a durare fino ai nostri giorni.

Ma come è possibile che le rocce Lepine di origine marina oggi si trovino a più di 1.500 metri di altezza? Il livello del mare si è forse abbassato lasciando emergere i Monti?

Il fenomeno è molto più complesso e non è imputabile all’abbassamento del mare. Si devono invece considerare quelle forze che trovano il loro motore nelle profondità della Terra e che agiscono lentamente. In periodi di tempo enormi (milioni di anni) le placche che compongono la crosta terrestre, muovendosi le une rispetto alle altre e scontrandosi, possono sollevarsi dando origine alle montagne. Al termine dell’Era Mesozoica, le grandi zolle europea ed africana presero lentamente ad avvicinarsi e in tal modo l’oceano esistente tra i continenti (la Tetide) si restrinse sempre più. Il processo di avvicinamento reciproco si concluse con la scomparsa definitiva dell’antico mare e la successiva collisione dei due continenti. I depositi rocciosi e terrigeni formatisi sul fondo dell’oceano furono spinti, lacerati e accumulati in tante falde sovrapposte che portarono alla fase iniziale del processo di formazione della catena delle Alpi (orogenesi alpina).

Nel Miocene (circa 25 milioni di anni fa) ebbe poi inizio il sollevamento della catena appenninica, e quindi dei Monti Lepini.

Successivo è lo sviluppo del vulcanismo dei Colli Albani e della Valle Latina che produsse anche intrusioni all’interno della catena Lepina, come è dimostrato dai rinvenimenti di Maenza (neck) e da un filone magmatico osservato sul versante settentrionale del Monte Semprevisa.

Contemporaneamente la dorsale Lepina si smembrava in due settori, divisi da un solco vallivo individuato dalla linea Montelanico – Carpineto – Maenza, lungo circa 20 chilometri.

Parco Tematico dinosauri
Tabella delle ere

Testi tratti da “Lepini, anima selvaggia del Lazio” . A cura di Corsetti L. per Edizioni Belvedere.

Fanno parte di questa sezione:

Introduzione | Storia Geologica | Carsismo | Flora e Vegetazione | Fauna