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Riflessi di bellezza e spiritualità: Esplorando il Museo dell’Abbazia di Valvisciolo

L’Abbazia di Valvisciolo, un gioiello storico-artistico situato nella provincia di Latina, è custode di una ricca eredità culturale che si esprime magnificamente attraverso il suo Museo, un’istituzione che celebra la storia millenaria del monastero e la sua connessione profonda con l’arte e la religione. Costruita nel XII secolo da monaci cistercensi, l’Abbazia di Valvisciolo è un emblema di spiritualità e impegno monastico. Nel 2003, la comunità monastica ha istituito il Museo all’interno degli affascinanti locali dell’ex dispensarium del Cenobio cistercense. Questa mossa ha sottolineato l’ardente impegno della comunità nel promuovere la cultura storico-artistica e religiosa nel territorio Lepini

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Il cuore del museo è la Galleria Abate Stanislao White, dedicata all’abate irlandese che ha dimostrato un amore straordinario per il cenobio cistercense sin dall’inizio del Novecento, quando si rifugiò qui. Questa galleria, concepita per onorare la sua memoria, ospita un tesoro d’arte raccolto con passione nel corso del tempo. Il patrimonio artistico della galleria è in gran parte costituito da opere provenienti dalla generosa donazione del collezionista Guglielmo Guidi. Incisioni e disegni risalenti al XVI-XIX secolo decorano le pareti, creando un affascinante viaggio attraverso periodi cruciali della storia dell’arte. Queste opere non solo testimoniano la maestria degli artisti del passato, ma anche la dedizione di coloro che hanno contribuito a preservarle per le generazioni future. Attraverso la collezione di incisioni e disegni, il Museo dell’Abbazia di Valvisciolo si presenta come un crocevia tra passato e presente, un luogo in cui la spiritualità monastica si fonde armoniosamente con l’espressione artistica. La galleria è un omaggio tangibile all’eredità di Stanislao White e alla sua visione di preservare la bellezza artistica in un contesto monastico.

Alcune delle opere all’interno della galleria: 

Albrecht Durer, La presentazione di Maria al tempio, 1503 (xilografia mm 299×205)

La presentazione di Maria al Tempio appartiene al ciclo incisorio più importante dell’artista dedicato alla Vita di Maria. L’opera si mostra con una complessa impaginazione che vede in primo piano la canestra di frutta, gli agnelli, il mercante con la moglie che accompgnano l’occhio dell’osservatore al fulcro portante di tutta la scena ossia la figura della giovane Maria intenta a salire i gradini del tempio, dove, vivrà sino ai dodici anni. Ci sono innumerevoli rappresentazioni simboliche all’interno di tutta l’opera: all’avvento del Messia e a Cristo fatto prigioniero per i nostri peccati alludono le gabbie con le colombe recate dal mercante a suo figlio, all’interno della canestra un’altra allusione a Cristo con la presenza della melagrana simbolo della Resurrezione. Sulla sommità della grande arcata, Durer pone la figura di Ercole che tiene per la gola il cane Cerbero da lui catturato nel suo viaggio nell’Ade. La presenza di questo eroe mitologico deve essere interpretata alla luce della corrente filosofica del neoplatonismo e rimanda alla prefigurazione di Gesù.

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Niccolò Circignani detto il Pomarancio, Deposizione di Cristo nel sepolcro, 1590 circa

(olio su tela cm 122×96)

La Deposizione di Cristo nel Sepolcro è una delle poche opere di grandi dimensioni dell’artista, probabilmente è presente sulla tela anche la mano di Antonio Circignani a cui si possono attribuire gli intensi contrasti luministici e la figura della Vergine che appare di mano più acerba in contrasto con la figura del Giuseppe di Arimatea di mano del Pomarancio. Postume sono invece le panneggiature che sono da attribuire ad un anonimo artista, il cui ruolo fu quello di censurare le “scandolose” nudità del Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo. Pomarancio articola la narrazione attraverso una progresssiva successione di piani e la sviluppa lungo la diagonale che dal capo di Giuseppe giunge a lambire la schiena di Nicodemo. La Deposizione appare immersa in un’atmosfera di “calma fatale” che libera l’evento dal pathos e dramma consueti esprimendo perfettamente il nuovo clima culturale della Riforma romana.

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Guido Reni, Elemosina di San Rocco, 1610 (Acquaforte e bulino mm 284 x 450)

Guido Reni ebbe nella sua carriera anche una produzione di Acquaforti, pur non essendo paragonabili alla produzione pittorica, opere come l’elemosina di San Rocco appaiono interessanti per l’immediatezza e la libertà esecutiva. L’episodio rappresentato da Reni non prende spunto dalla vita del santo, quanto piuttosto dalla leggenda. Mostra San Rocco intento a distribuire la sua cospicua eredità ai poveri, prima di partire come pellegrino mendicante per Roma.

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Rembrandt, Abramo ed Isacco, 1645 (Acquaforte e bulino mm 157 x 130)

Rembrandt fu autore di diverse stampe che ebbero sin da subito un grande successo. Attraverso l’acquaforte l’artista riuscì a trovare uno strumento, forse ancor più della pittura,  ideale con cui esprimersi. Incomincia ad accostarsi a questa tecnica intorno al 1626 con un ciclo dedicato alla Vita di Cristo. In quest’opera presente nel Museo dell’Abbazia di Valvisciolo l’artista sceglie di rappresentare il momento in cui Isacco e Abramo sono intenti a dialogare, prima del tentato sacrificio del giovane figlio di Abramo. Non ci sono riferimenti paesaggistici tranne gli alberi sulla sinistra. La scena è più intima e concentra l’attenzione sui due protagonisti: la gestualità, la postura, i piccoli movimenti calano l’osservatore nalla narrazione. Ci sono piccoli cenni simbolici che ci preannunciano ciò che sta per accadere come il coltello sulla cinta di Abramo o la legna che il giovane porta con sè. E’ un chiaro esempio in cui Abramo viene raffigurato come uomo che ripone in Dio totale fiducia.

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Canaletto, La Torre di Malghera, 1742-45 (Acquaforte su rame mm 294 x 424)

L’opera in questione di Canaletto appartiene alla serie di incisioni, realizzate dal Canaletto tra il 1740 ed il 1745. Ben trentatrè vedute riprese dal vero che ritraggono luoghi della città di Venezia, della laguna del Brenta, di Padova. La Torre di Malghera riproduce una torre di difesa eretta nel 1209 sull’isola di San Giuliano, poi abbattuta nell’800. Costituisce un eloquente esempio delle grandi qualità tecniche possedute dall’artista. L’acqua della laguna è rappresentata con segni piccoli e movimentati che la rendono ondulata, increspata e luccicante di riflessi. Da sinistra fa il suo ingresso in scena la prua di una gondola, il cui classico pettine è da sempre emblema della Serenissima.

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Giovan Battista Piranesi, prospettiva della scala della conserva d’acqua, 1764

( Acquaforte mm 500 x 325)

La Prospettiva della scala della conserva d’acqua è la quattordicesima tavola facente parte della serie incisoria delle Antichità d’Albano e Castel Gandolfo dedicate a Papa Clemente XIII, amico e protettore della famiglia Piranesi. Raffigura l’interno del Cisternone, serbatoio fatto erigere da Settimio Severo e tuttora efficente. Domina la scena la grande scalinata. L’atmosfera è plumbea e drammatica.

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Francisco Goya, Qual la descanonan, 1792-99

( Acquaforte ed acquatinta mm 210 x 145)

L’opera presente al Museo dell’Abbazia del Valvisciolo fa parte della serie incisoria realizzata da Goya dal titolo Capricci, con il titola iniziale di Sogni. Questa serie viene concepita da Goya quando è completamente sordo a causa di una malattia contratta anni prima. Questa sua malattia influenza inevitabilmente la sua arte, questa componente a tratti “demoniaca” è peculiare del suo nuovo linguaggio artistico. In Qual la descanonan! (Come la spennano!) l’artista attacca l’amministrazione della giustizia e l’autentica rapacità degli scrivani e dei segretari della curia.

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Eugene Delacroix, Leonessa che dilania un arabo, 1849

( cera molle mm 205 x 276)

Delacroix intanto propose all’attenzione del pubblico un nuovo aspetto del suo temperamento artistico, quello di “animalier”, esecutore cioè di soggetti con animali. Il richiamo alle Cacce di Rubens – che culminerà nel 1855 con il dipinto Caccia al Leone – appare già palese in opere come Cavallo selvaggio abbattuto da una tigreTigre realeTigre dell’Atlantide ed ancor di più in questa Leonessa che dilania un arabo. Firmata e data 1849, quest’incisione a cera molle, oltre ad offrire un saggio evidente delle capacità nel campo incisorio di Delacroix, ci rivela il temperamento vigoroso dell’artista, il quale torna alle care le magie d’oriente – in passato quasi sussurrate nelle Donne d’Algeri nei loro appartamenti (1834, Parigi, Louvre) – con uno spirito ed una forza del tutto diversi.

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Honorè Daumier, En Valachie, 18454 ( Litografia mm 260 x 222)

En ValachieGeneraux russes venant de faire leur dévotions dans chapelles catholique, pubblicata il I luglio 1854 nella rivista “Le Charivari”, racconta dell’occupazione russa nella regione rumena della Valacchia, avvenuta nel 1853-54. È un’opera fortemente icastica, dal titolo più che ironico: due generali russi, infatti, fuggono trasportando a fatica tutto quel che han potuto razziare nella piccola chiesa che si intravede sullo sfondo. Daumier, esprimendosi con il linguaggio inconfondibilmente suo, con quel fare “ruvidamente compendiario, da autentico epos popolaresco”, ci racconta la tragedia della guerra mettendo a nudo la follia, l’avidità, la violenza e la stupidità insite in essa ed in chi la persegue.

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Visitare il Museo dell’Abbazia di Valvisciolo significa immergersi in un ambiente che incarna secoli di storia, arte e spiritualità. Ogni opera esposta racconta una parte della narrazione affascinante di questo luogo, invitando i visitatori a contemplare la connessione tra fede e creatività che permea le mura dell’Abbazia. Un viaggio nel tempo che rivela l’importanza di preservare e condividere le testimonianze culturali che definiscono l’identità di questo straordinario sito monastico.

di Sinopoli Francesco e Campagna Laura 

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