Catalogo dei Musei dei Lepini
Luoghi e itinerari tematici

ITINERARIO 13

Testi di Anna Di Falco

I Palazzi

I palazzi considerati sono strettamente connessi con la struttura urbana su cui insistono, sia quando essi nascono come organismo di difesa, sia quando accentrano o manifestano il potere signorile. Si possono individuate alcune tipologie storiche, quali la rocca nelle sue varie fasi e il palazzo-castello del neo feudalesimo tardo cinquecentesco, il palazzo comunale, il palazzotto tardogotico, il palazzo rinascimentale, il palazzo aperto al nucleo urbano con giardino e casino di caccia sei-settecentesco. Un’altra importante chiave di lettura è costituita dalle vicende delle grandi famiglie di feudatari e di committenti nelle loro alterne fasi di espansione e decadenza. Il passaggio più significativo è dal castrum alla riorganizzazione territoriale che avviene dal XIII secolo, quando ormai le signorie e i feudatari tendono a stabilirsi all’interno degli abitati, fortificando con mura il sito e costruendo insieme alle fortificazioni i palazzi residenziali. Nel quattrocento il palazzo diviene sede di una vita dedicata al bene pubblico e alla coltivazione delle arti, le forme sono razionali come si razionalizzano gli spazi urbani. Nel cinquecento le famiglie utilizzano i palazzi a scadenze stagionali perché all’abitudine della villeggiatura si accosta il controllo dell’attività agricola come fonte di reddito. Se fino al secolo precedente era prevalsa nello sfruttamento territoriale la forza politico militare, d’ora in poi il governo si trasforma in organizzazione politico-economica: non solo il potere sul territorio, ma anche la buona amministrazione.

Artena: palazzetto Borghese. Nel 1615, quando Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, acquista il feudo di Artena, allora Montefortino, dalla famiglia Colonna, inizia un progetto di riqualificazione della cittadella con l’intento di dare immagine al suo potentato attraverso la bellezza e la grandiosità delle sue fabbriche. Le decisioni prese in tutti gli interventi edilizi sembrano, nonostante la collaborazione di brillanti esecutori, essere dello stesso Scipione Borghese. Ancora nel 1616 il Palazzo è diviso in due corpi di fabbrica, appartenuti precedentemente ai Colonna e ai Massimo. Vasanzio, attivo nel palazzo fin dal 1615, riceve l’incarico di unificare il palazzo e di costruire nuove stanze adatte ad ospitare più degnamente il corteo papale. Finalmente ha inizio la realizzazione di un prospetto unitario in grado di simboleggiare la grandezza economica del nuovo feudatario. I lavori per la loggia nuova iniziano nell’estate del 1616 e proseguono fino al 1623, si tratta di una galleria su tre ordini. La realizzazione della grande scala ellittica è opera degli architetti Bolini e Battisti. L’intervento sulla facciata verso valle, a nord del palazzo, avviene per ragioni strutturali: vengono aggiunti due grandi speroni e l’intera facciata viene rifoderata. L’aspetto complessivo del fronte risulta sobrio e severo: è assente ogni tipo di decorazione, il piano nobile è segnato da una semplice cornice marcapiano e il ritmo complessivo è scandito solamente dagli ordini delle finestre incorniciate di pietra.

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Segni: palazzo Sforza Conti. La documentazione a noi nota sul palazzo dei Conti non inizia prima del XVI secolo. Nella struttura muraria sono evidenti i resti di varie epoche: mura poligonali risalenti al V sec. a.C., mura quadrate di epoca repubblicana e, negli scantinati sono visibili le aperture, definite da riquadri in muratura, verso i quattro cunicoli che conducevano a gallerie sotterranee. Dopo il 1557 Alessandro dei Conti Sforza duca di Segni “tanto magnifico che niun altro dei signori romani poté con lui gareggiare”, comincia i lavori per ricostruire il palazzo degli avi e decorarlo degnamente. Sono ancora numerosi gli ambienti che conservano i soffitti lignei a cassettoni e le pareti dipinte a tempera. Figure del mito, ritratti dei personaggi più illustri delle famiglie Conti e Sforza, decorazioni con figure di blasoni, personaggi simbolici, putti, leoni, ornamenti floreali e scene mitologiche sono visibili in una lunga sequenza di ambienti. Le decorazioni hanno dubbia attribuzione: alcuni riconoscono l’opera a Federico Zuccari, altri del Cavalier d’Arpino. Il palazzo fu confiscato dalla Congregazione dei baroni nel 1639 al figlio di Alessandro, Mario Sforza, che continuò ad accumulare ai debiti del padre i suoi, fino a rovinare la grandezza del suo casato. L’asta del palazzo portò come risultato una lite fra i Barberini e gli Sforza, e un processo giudiziario fra le due famiglie che si protrasse fino alla fine del XVII secolo, quando Livia Cesarini, moglie di Federico Sforza, ricomprò il ducato. Gli Sforza Cesarini cedettero per più di un secolo il palazzo in enfiteusi alla famiglia Allegrini, poi fu acquistato dal vescovo di Segni per conto di Leone XIII, che nel 1887 lo affidò alle suore di santa Giovanna Antida Thouret.

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Giulianello: palazzo Salviati. Giulianello resta patrimonio della Chiesa fino al 1264, quando Giovanni e Adinolfo Conti iniziano l’acquisizione delle terre nonostante l’opposto parere di Urbano VIII. L’ultima erede della famiglia Conti, Costanza, si adopera per la risistemazione del Castro. Antonio Maria Salviati, continua i lavori intrapresi dalla madre e nel 1569 fa costruire un nuovo palazzo accanto a quello preesistente, oltre alle stalle, il mulino e il granaio. Il palazzo si trova sulla sommità del colle e definisce, con la porta d’ingresso e le quinte architettoniche degli opifici e delle case dei contadini, un sistema urbano individuato e indipendente. Si tratta di un edificio a pianta quadrata, con torri angolari e una corte interna porticata. Sotto gli intonaci, sulle facciate a nord e a est, sono visibili resti di murature di epoca medievale, dal XII al XIV secolo, identificabili dalla tipica disposizione dei tufelli su filari paralleli. La facciata è mossa attraverso l’emergenza dell’avancorpo centrale che accentua gli effetti chiaroscurali: l’avancorpo è segnato da pesanti membrature architettoniche in tufo e dal disegno del portone centrale bugnato. Al piano superiore una loggia a tre fornici, sempre tracciata in tufo, completa il disegno. Il caratteristico effetto cromatico dettato dal contrasto fra membrature e superficie intonacata di sfondo, che ricorda le architetture del cinquecento toscano, resta come unico elemento decorativo anche sulle altre facciate del palazzo.

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Carpineto Romano: palazzo Pecci. Le origini di palazzo Pecci risalgono al XIII secolo, quando la famiglia De Ceccano, a cui apparteneva il feudo, inizia la costruzione del castello, nucleo originario dell’attuale palazzo. Successivamente il territorio è acquisito prima da Bonifacio VIII, che lo dona al nipote Pietro Caetani, poi si avvicendano i Conti di Segni- Valmontone e infine i Pecci che dopo il 1575 acquisiscono definitivamente il castello. Il catasto di S. Nicola del 1767 descrive il palazzo di Antonio Pecci provvisto di quattro cantine, due stalle, un granaio, un mulino ad olio e un orto di quattro “rase”. Nel 1810 nasce nel palazzo Gioacchino Vincenzo Pecci, eletto al soglio pontificio nel 1878 come Leone XIII. L’insieme degli ambienti è modificato dall’architetto Augusto Bonanni, che realizza anche il terzo piano del palazzo. In facciata si legge l’inglobamento delle strutture medioevali, a sinistra di chi guarda, e l’aggiunta del nuovo palazzo a destra. Anche il doppio accesso denuncia la pluralità dei corpi nel tempo uniti a costituire un edificio unitario. In asse con la rampa di accesso al palazzo e con la fontana di Michele Tripisciano nella piazzetta antistante, si trova il “supportico” da cui si arriva all’ingresso principale. Ai Iati dell’androne sono i magazzini ormai inutilizzati, la mola ad olio ed il deposito della neve. Dal portone, con una scalinata, si accede a destra al giardino pensile con il belvedere e il pozzo. Nel 1879 Francesco Fontana costruisce la chiesa di San Leone Magno sull’area degli antichi fienili. A destra della scalinata si trovano gli appartamenti e dal vestibolo si accede a una serie di ambienti: la “Sala Quadra”, la “Sala lunga”, un’ampia galleria, la sala delle fettucce, la cappella, la biblioteca, tutti riccamente decorati con soffitti a cassettoni, stucchi, pavimenti in maiolica.

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